sabato 7 dicembre 2013

Le bufale "scientifiche" divulgate dalla stampa italiana!

Su vari quotidiani italiani è apparsa la notizia che la nostra specie deriverebbe da un incrocio tra scimpanzé e maiale.
La Repubblica: "L'uomo è un incrocio tra scimpanzé e maiale": l'ipotesi shock dello scienziato McCarthy". http://www.repubblica.it/scienze/2013/12/03/news/l_uomo_un_incrocio_di_scimmie_e_maiali_l_ipotesi_shock_del_genetista_mccarthy-72579034/?ref=HRLV-12
Libero: "L'origine dell'umanità? "L'incrocio tra uno scimpanzè e un maiale". http://www.liberoquotidiano.it/news/scienze---tech/1363027/L-origine-dell-umanita---L-incrocio-tra-uno-scimpanze-e-un-maiale-.html
E la notizia corre sul web, la teoria dell'evoluzione di Darwin è messa in discussione! La disinformazione e l'ignoranza trionfano come al solito. Le idiozie più sono grosse e più fanno in fretta a diffondersi, più fanno presa sui nostri media e sul pubblico. Ed è così che Eugene McCarthy ora è famoso in tutto il mondo per aver sparato una balla colossale, o forse sarebbe meglio dire una "porcata".
Niente di strano: è la moda di questi tempi di basso impero e di sottocultura televisiva ormai imperante da un ventennio. Diventare noti non per imprese di valore, ma per comportamenti di basso livello, per trucide provocazioni e litigi in diretta, per azioni turpi. Chi non ha presente le gesta di Fabrizio Corona, fotografo sconosciuto diventato famoso per aver ricattato alcuni vip?
La cosiddetta ipotesi di McCarthy è in realtà una bufala, non sta in piedi in partenza perchè ignora nozioni basilari di Genetica, Citogenetica ed evoluzione molecolare e perchè prescinde dai risultati ottenuti negli ultimi 13 anni nel campo della genomica comparata. E' una bufala perchè sappiamo bene che le similitudini genetiche tra uomo e scimpanzè e altre scimmie sono di circa il 98% se si confronta la sequenza del DNA dei geni codificanti, mentre il genoma del maiale è meno simile a quello di scimpanzè e uomo. L'ipotesi è una bufala perchè i cromosomi umani e quelli di scimpanzé hanno molte somiglianze. L'uomo ne ha 46 e lo scimpanzè 48 in quanto due cromosomi dello scimpanzè nella storia evolutiva che ha portato alla formazione della nostra specie si sono fusi. Il maiale, invece, ha 38 cromosomi che sono strutturalmente diversi da quelli di scimpanzè e da quelli umani. Le differenze strutturali e genetiche tra cromosomi di maiale e di scimmia avrebbero creato grossi problemi all'eventuale ibrido. Qualora fosse mai nato e fosse stato vitale, superando incompatibilità di sviluppo, sarebbero sopravvenuti seri problemi di sterilità, a causa di difetti nell'appaiamento dei cromosomi durante la formazione delle cellule germinali, cosa che accade di solito in certi ibridi vitali noti come il mulo (incrocio di asino per cavalla) o il bardotto (incrocio di cavallo per asina).
Colpisce che un quotidiano reputato serio come "La Repubblica", invece di dare spazio alla ricerca scientifica vera, invece di parlare dei problemi seri che affliggono università e ricerca pubbliche nel nostro paese, pubblichi acriticamente tali idiozie, contribuendo a diffondere nozioni false che aumentano la disonformazione scientifica, gia molto scarsa nel nostro paese. Colpisce che la bufala di McCarthy sia stata presentata senza un commento di un genetista, quasi fosse un'ipotesi scientifica accreditata, una nuova teoria degna di essere presa in considerazione. Mentre in realtà è e sarà sempre solo una bufala tirata fuori da un tipo in cerca di un po' di notorietà, non importa se negativa.

giovedì 5 dicembre 2013

Papa Francesco pensaci tu: solo un miracolo può salvare università e ricerca pubbliche!

Dopo le politiche sconsiderate dei governi italiani, dopo il blocco del turnover e gli ultimi tagli del governo Letta che hanno portato alla cancellazione dei bandi Prin 2013, la ricerca pubblica sta per esalare l'ultimo respiro e molti laboratori rischiano di chiudere i battenti!
Adesso ai ricercatori non resta che sperare in qualche miracolo, magari anche grazie alle preghiere di Papa Francesco!
http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2013/12/01/news/aids_appello_del_papa_nessuno_sia_escluso_da_cure-72402029/?ref=HREC1-4
Il Papa si riferiva a quelli che svolgono ricerche sull'Aids, ma noi speriamo che il Santo Padre abbia una preghiera anche per tutti gli altri, per quelli che tra difficoltà ogni anno sempre maggiori portano avanti con passione la ricerca nei laboratori dei dipartimenti universitari e degli enti di ricerca pubblici!!

lunedì 2 dicembre 2013

UNIVERSITA' E RICERCA: IL GIORNO DEL GIUDIZIO

John Kenneth Galbraith, grande vecchio dell'economia americana e critico della teoria capitalista tradizionale sosteneva che nella storia gli economisti non sono mai stati capaci di prevedere una crisi, anzi, una volta scoppiata, hanno sempre fornito ricette che contribuivano ad aggravarla.
In Italia, però, un manipolo di economisti dell'Università Bocconi detta legge da anni e porta avanti una virulenta campagna mediatica mirata a denigrare tout court università e ricerca pubbliche, condizionando lo sviluppo culturale e scientifico del nostro paese. E’ una moda anche più trendy del nuovo iPhone 5s, un’offensiva decisa a tavolino: prima i vari governi bombardano con i tagli pesanti e indiscriminati, poi arrivano le truppe d'assalto a completare l'opera di distruzione. Non a caso il titolo del'imminente convegno organizzato dai terminator dell'Università Bocconi di Milano si intitola proprio "La ricerca in Italia cosa distruggere, come ricostruire"
Tra i principali terminator a ogni costo, ricordiamo Francesco Giavazzi, Roberto Perotti e Tito Boeri. La loro tesi in sintesi è questa: perché, sprecare soldi pubblici finanziando università e ricerca, se docenti e ricercatori sono nepotisti, corrotti o nella migliore ipotesi fannulloni? Un messaggio molto chiaro di generalizzato discredito lanciato a ripetizione dai principali media, un malefico canto delle sirene che condiziona pesantemente l'opinione pubblica.
Tito Boeri, pro-rettore alla ricerca della Bocconi, ha di recente rincarato la dose nell'ultima puntata di "Porta a porta", denunciando la scarsa attrattività della ricerca in Italia e auspicando il finanziamento esclusivo dei cosiddetti centri d'eccellenza privati. Nell'enfasi del discorso, Boeri denunciava che nella alla recente VQR (la valutazione nazionale dei prodotti di strutture pubbliche di ricerca), l'analisi di 15000 prodotti presentati dimostrava che il 30% del personale CNR è inattivo.
Last but not least, un altro cavallo di battaglia molto scontato che i nostri terminator utilizzano spesso è quello dei famosi “cervelli” in fuga, i giovani di talento costretti a emigrare verso lidi migliori, perché la ricerca scientifica di punta da noi non esiste.
In realtà molte degli argomenti usati dai terminator non corrispondono a realtà, si tratta di un elenco di luoghi comuni, di cifre inesatte e di affermazioni diffamanti smentite dai fatti. E' vero che in Italia le condizioni di lavoro e le strutture dei centri di ricerca sono difficoltose, ma malgrado ciò, secondo uno studio del 2008 i ricercatori italiani erano al tempo tra più produttivi al mondo in termini di pubblicazioni. Anche oggi, malgrado lo scempio causato dai tagli indiscriminati degli ultimi governi, la nostra loro produttività a livello internazionale rimane notevole. A riguardo, è illuminante l'analisi di Giuseppe De Nicolao che ribalta le tesi dei terminator bocconiani (http://www.youtube.com/watch?v=fvA3YHH3IJQ. In secondo, luogo, c'è una considerazione lapalissiana da fare: i “cervelli” che stanno tanto a cuore ai nostri terminator non nascono sotto i cavoli di qualche centro d’eccellenza privato del Nord Italia , come vorrebbero farci credere, ma provengono soprattutto quegli atenei e centri di ricerca pubblici, oggi dipinti come desolati e desertificati templi dell’ozio. Là ci sono docenti e ricercatori armati di passione e dedizione, eroi moderni e non fannulloni, che malgrado mille difficoltà hanno formato generazioni di giovani bravi, alcuni purtroppo costretti a migrare altrove, ma solo per carenza di risorse economiche e di strutture: ecco il vero problema.
Per quanto riguarda le accuse di Boeri, infine, il collega ha dato i numeri sbagliati. Da un'analisi approfondita presentata da Giorgio Sirilli sul Blog Roars, si viene a sapere che i prodotti del CNR valutati erano in realtà 184.878, 10 volte di più del numero indicato da Boeri e per quanto riguarda i ricercatori inattivi si arriva ad un valore del 13% e non del 30%. Che attendibilità scientifica e politica può avere un pro-rettore che parla a milioni di spettatori sparando dati a casaccio per sostenere le proprie tesi?
Detto questo, per non essere tacciati di corporativismo, non possiamo negare che nepotismo e assenteismo siano dei gravi mali dell’università italiana, ma non sono esclusivi dell'accademia. Si tratta di mali purtroppo radicati in tutte le frange della nostra società. Per estirparli, almeno dall’ambito universitario e della ricerca, servono meccanismi seri ed efficienti di valutazione che premino veramente merito e qualità, servono risorse ingenti. Altro che tagli, altro che dirottamento esclusivo dei finanziamenti ai centri di eccellenza privati, è necessaria una seria programmazione unita a investimenti di risorse adeguate per risollevare e incentivare la ricerca pubblica e per trattenere i numerosi talenti che crescono proprio in quei dipartimenti e centri di ricerca tanto criticati. Non a caso Renato Delbecco, premio Nobel per la Medicina, nel 2008 disse che "Un Paese che investe lo 0,9% del proprio prodotto interno lordo in ricerca, contro la media del 2% degli altri, non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori." E da allora la situazione è peggiorata.
Purtroppo, le cure utilizzate finora dai vari stregoni di turno stanno solo di uccidendo il paziente. Infatti, il sistema quantitativo basato su indicatori bibliometrici ideato dall'agenzia nazionale di valutazione (Anvur) per la valutare ricerca e ricercatori, sta creando una meritocrazia al contrario. Non a caso, nei paesi dove la valutazione è di casa, questo sistema è ritenuto inadeguato, in assenza di altri parametri, per valutare i livelli di qualità, autonomia scientifica e originalità di ricerca (http://www.roars.it/online/incerti-incompleti-e-modificabili-ecco-gli-indicatori-dei-candidati-allabilitazione/).
Che ad essere in fuga siano proprio i cervelli di quelli che diffamano università e ricerca pubbliche con l'unico scopo di distruggerle, grazie ad una buon cocktail di presunzione, superficialità e malafede?

venerdì 29 novembre 2013

Gli idonei di prima fascia scrivono al Ministro Carrozza

Lettera dei Docenti in servizio negli Atenei Italiani idonei al ruolo di professore di I Fascia – Concorsi 2008
Illustre Ministro,
Siamo circa 210 docenti in servizio in molti Atenei di tutta Italia, che hanno regolarmente vinto un concorso per professore di I Fascia (bandito nel 2008 ai sensi della legge 3 luglio 1998 n. 210 e successive modificazioni) e che non riescono a prendere servizio con tale funzione a causa di una complessa catena di norme sovrappostesi negli ultimi anni. Al riguardo il Coordinamento Idonei Prima Fascia si rivolse già in passato al Suo predecessore (cfr. www.idoneiprimafascia.net).
Come Lei sa, siamo risultati idonei in concorsi espletati con norme molto più rigorose rispetto a quelle previste all'atto dell'emanazione dei bandi, ovvero con commissioni sorteggiate, anziché autoelette. Il nostro profilo scientifico e didattico è testimoniato dai numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali a cui partecipiamo e dai molti anni di attività didattica universitaria, certificata, oltre che dalla realtà dei fatti, dall’esito di un concorso pubblico.
Per lo svolgimento delle procedure di selezione e per il completamento dell’iter amministrativo il MIUR ha già impiegato notevoli risorse. Molti colleghi vincitori della stessa tornata concorsuale sono entrati regolarmente in servizio con la qualifica superiore solo perché si trovavano in Atenei con una condizione finanziaria migliore o perché hanno avuto la precedenza (spesso in modo casuale) in un periodo di riduzione del turn over. Quest’anno, a fronte della cessazione di un numero di docenti equivalenti a 2.227,48 “Punti Organico” a livello di sistema universitario ne sono stati riassegnati solo 445,50. Alcune sedi hanno avuto meno di un intero “Punto Organico”, a fronte di decine di Idonei alla I Fascia in attesa di prendere servizio da anni.
Il nostro passaggio dalla II alla I Fascia comporterebbe un investimento irrisorio in termini economico-finanziari reali. In termini di “Punti Organico” sarebbero necessari meno dei teorici 60 “Punti Organico” (0,3 per ciascun idoneo chiamato in servizio); una briciola rispetto ai punti non reimpiegati per il blocco del turn over.
Per i nostri colleghi idonei alla II Fascia sono state stanziate rilevanti risorse “vincolate”. Noi chiediamo solo una deroga al limite dell’utilizzo dei punti organico per le nostre prese di servizio. Ci troveremo a breve a contenderci le risorse con gli “Abilitati” in arrivo, per i quali vige un regime normativo ed assunzionale completamente diverso. Solo un intervento “ad hoc” potrebbe risolvere una situazione che rischia di trasformarsi in un ulteriore blocco per gli Atenei che già, in questi anni, hanno sofferto per il perdurare dei tagli, soprattutto al Centro-Sud.
Peraltro, per molti di noi, c’è il rischio concreto di perdere l’idoneità di I Fascia (durata 5 anni) determinando un'ingiustizia nei nostri confronti ed un grave danno agli Atenei di appartenenza, e vanificando energie e risorse finanziarie investite nei concorsi di cui siamo risultati vincitori. Comprendiamo perfettamente l'attuale difficile congiuntura economica in cui versa il Paese e la complessità delle norme in vigore, ma il nostro problema è ampiamente risolvibile con una spesa molto limitata.
Al riguardo Le segnaliamo come nella discussione in atto sulla Legge di Stabilità al Senato si sia manifestato un ampio interessamento a favore della risoluzione della nostra situazione, con la presentazione di più emendamenti, da parte di Parlamentari di diversi partiti. Illustre Ministro, in considerazione di quanto esposto, Le chiediamo di farsi promotrice di una iniziativa governativa che consenta: la presa di servizio di tale personale con risorse a valere su quelle che si rendono disponibili dalle cessazioni, destinando specificamente a tale fine la quota necessaria ricavata aumentando di pari entità la percentuale del turn over prevista.
Si tratterebbe di una misura transitoria, valida una tantum, che andrebbe ad incidere in minima parte sul turn over programmato, ed in ogni caso con impegno di risorse notevolmente inferiore a quello previsto per il piano straordinario per gli associati.
Fiduciosi nella Sua autorevolezza La ringraziamo anticipatamente per l’attenzione e l'impegno che vorrà porre alla questione.
Distinti saluti
28 Novembre 2013
primafascia2008@gmail.com
as.bergantino@gmail.com
idonei2008@gmail.com
Elenco dei Docenti Firmatari
ALESSIO GIOVANNI g.alessio@oftalmo.uniba.it AMBROSONE LUIGI ambroson@unimol.it ANTONINI GIULIO giulio.antonini@univaq.it ARBUSTINI ELOISA e.arbustini@smatteo.pv.it ARTICO MARCO marco.artico@uniroma1.it BALDI MARIO mario.baldi@polito.it BARBA DAVIDE barba@unimol.it BARENGHI ANDREA barenghi@unimol.it BARNI MAURO mauro.barni@unisi.it BARTOLETTI ROBERTA roberta.bartoletti@uniurb.it BEGHELLI MARCO marco.beghelli@unibo.it BELLINO ENRICO enrico.bellino@unicatt.it BERGANTINO ANGELA STEFANIA as.bergantino@gmail.com BERNUZZI CLAUDIO claudio.bernuzzi@polimi.it BERTOLINO ALESSANDRO a.bertolino@psichiat.uniba.it BOMPARD ETTORE FRANCESCO ettore.bompard@polito.it BONACCHI MASSIMILIANO massimiliano.bonacchi@gmail.com BOTTONI PAOLO GASPARE bottoni@di.uniroma1.it BRESCHI LORENZO lbreschi@units.it BRESCIA MORRA CONCETTA bresciam@unisannio.it BRUSA EUGENIO eugenio.brusa@polito.it BUSCO CRISTIANO busco@unisi.it CALIGIURI MARIO caligiuri@caligiuri.it CALZA' LAURA laura.calza@unibo.it CAMPANI GIOVANNA giovanna.campani@unifi.it CAPUANO ALESSANDRA ale.capuano@fastwebnet.it CARAFA PAOLO paolo.carafa@uniroma1.it CARDONA MARIO cardonmario@gmail.com CASALINO LORENZO lorenzo.casalino@polito.it CASSIANI GIORGIO giorgio.cassiani@unipd.it CERNIGLIA FLORIANA MARGHERITA floriana.cerniglia@unimib.it CHESSA LUCIANA Luciana.Chessa@uniroma1.it CHIARUCCI ALESSANDRO alessandro.chiarucci@unisi.it CIMBOLLI SPAGNESI PIERO piero.cimbollispagnesi@uniroma1.it CINA ALBERTO alberto.cina@polito.it CLINI, ENRICO enrico.clini@unimore.it COLAVITA GIAMPAOLO colavita@unimol.it COLOMBO LUCA VITTORIO ANGELO lucava.colombo@unicatt.it CONFORTI DOMENICO mimmo.conforti@unical.it CORI ENRICO e.cori@univpm.it COSTA VINCENZO vincenzo.costa@unimol.it COTRONE RENATA r.cotrone@lettere.uniba.it CRESCENZI VICTOR victor.crescenzi@fastwebnet.it DALLARI FABRIZIO fdallari@liuc.it DAMIANI ENRICO damiani@unimc.it DE CRISTOFARO ANTONIO decrist@unimol.it DE PASCALI PAOLO paolo.depascali@uniroma1.it DI SANTO ROBERTO roberto.disanto@uniroma1.it DIMITRI PATRIZIO patrizio.dimitri@uniroma1.it DONINI LORENZO MARIA lorenzomaria.donini@uniroma1.it DUBINI PAOLA paola.dubini@unibocconi.it ESPOSITO DE FALCO SALVATORE salvatore.espositodefalco@uniroma1.it FABBROCINO GIOVANNI giovanni.fabbrocino@unimol.it FABIANI DANIELA daniela.fabiani@unimc.it FARINOLA GIANLUCA MARIA gianlucamaria.farinola@uniba.it FERLAZZO FABIO fabio.ferlazzo@uniroma1.it FERRI, GIUSEPPE giuseppe.ferri@univaq.it FERRI PAOLO MARIA paolo.ferri@unimib.it FILICE LUIGINO l.filice@unical.it FIORDELISI FRANCO franco.fiordelisi@uniroma3.it FIORENTINI MARIO fiorentm@units.it FIORILLO FRANCESCO francesco.fiorillo@unisannio.it FREGO, SILVIA ANTONELLA s.frego@tiscali.it FRIGERI ANTONIO a.frigeri@biologia.uniba.it GARRITANO FRANCESCO francesco.garritano@gmail.com GENTILE FABRIZIO gentilefabrizio@unimol.it GEOBALDO FRANCESCO francesco.geobaldo@polito.it GRANO MARIA m.grano@anatomia.uniba.it GRAZI GIAN LUCA grazi@ifo.it GRILLI MARCO marco.grilli@roma1.infn.it GUERRIERO FRANCESCA guerriero@deis.unical.it IACOMETTI MIRYAM miryam.iacometti@unimi.it IANNANTUONI GIOVANNA giovanna.iannantuoni@unimib.it IAVARONE MARIA LUISA iavarone@uniparthenope.it ICARDI UGO ugo.icardi@polito.it IRRERA FERNANDA fernanda.irrera@uniroma1.it JANNINI EMMANUELE emmanuele.jannini@univaq.it LABANCA NICOLA nicola.labanca@unisi.it LAZZARA PAOLO plazzara@uniroma3.it LENZI RAFFAELE raffaele.lenzi@unisi.it LEONCINI ISABELLA isabellaleoncini@yahoo.it LOMBARDI ROBERTA roberta.lombardi@unipmn.it MACII ALBERTO alberto.macii@polito.it MAGGIORE GIUSEPPE giuseppe.maggiore@med.unipi.it MALAGOLI CLAUDIO c.malagoli@unisg.it MANTOVANI MARCO ORLANDO mantovanio@tiscali.it MANZINI RAFFAELLA rmanzini@liuc.it MARADEI FRANCESCAROMANA francesca.maradei@uniroma1.it MARCI TITO tito.marci@uniroma1.it MAROTTA GEMMA Gemma.Marotta@uniroma1.it MARULLO RITA rmarullo@unirc.it MASULLI FRANCESCO francesco.masulli@unige.it MASULLO MARIOROSARIO mario.masullo@uniparthenope.it MICHELI MARIA ELISA maria.micheli@uniurb.it MILANI PAOLA paola.milani@unipd.it MIRALDI FABIO fabio.miraldi@uniroma1.it MOGLIA GIUSEPPE giuseppe.moglia@polito.it MONTORSI GUIDO guido.montorsi@polito.it MORO GIUSEPPE g.moro@psico.uniba.it MUSCOLO ADELE MARIA amuscolo@unirc.it NICOLO' DOMENICO domenico.nicolo@unirc.it NUOVO ANGELA MARIA angela.nuovo@uniud.it OCCHIENA MASSIMO massimo.occhiena@occhiena.it OLGIATI VITTORIO vittorio.olgiati@unimc.it ORSI GIOVANNI BATTISTA giovanni.orsi@uniroma1.it PADIGLIONE VINCENZO vincenzo.padiglione@uniroma1.it PAIELLA MONICA PIA CECILIA monicapaiella@libero.it PALERMO FRANCESCO francesco.palermo@eurac.edu PARENTE FERDINANDO fparente@notariato.it POLINI WILMA polini@unicas.it PORTINCASA PIERO p.portincasa@semeiotica.uniba.it PRIZZON FRANCESCO francesco.prizzon@polito.it PROIETTI GUIDO guido.proietti@univaq.it QUAGLIARINI ENRICO e.quagliarini@univpm.it RAIMO GENNARO raimo@unimol.it RANGONE NICOLETTA nicoletta.rangone@polimi.it RINALDI SIMONE rinaldi@unisi.it RIPABELLI GIANCARLO ripabelli@unimol.it RIVA CRUGNOLA CRISTINA cristina.riva-crugnola@unimib.it RIZZO MARIA ANTONIETTA marizzo@tiscali.it ROMEO ROBERTO roberto.romeo@uniurb.it RONCONE RITA rita.roncone@cc.univaq.it RONDI LAURA laura.rondi@polito.it SANCETTA GIUSEPPE giuseppe.sancetta@uniroma1.it SANESI GIOVANNI sanesi@agr.uniba.it SANTANELLI FABIO Fabio.Santanelli@uniroma1.it SARACINO MARIA ANTONIETTA mariantonietta.saracino@uniroma1.it SCARCELLO FRANCESCO scarcello@deis.unical.it SCOGNAMIGLIO ANDREINA andreina.scognamiglio@unimol.it SCOPPOLA ELISABETTA scoppola@mat.uniroma3.it SODANO VALERIA vsodano@unina.it SOLA LUCIANA luciana.sola@uniroma1.it SOLANO LUIGI luigi.solano@uniroma1.it SORICE MAURIZIO maurizio.sorice@uniroma1.it SPERANZA ANNA MARIA annamaria.speranza@uniroma1.it STANCA LUCA luca.stanca@unimib.it TALIENTO MARCO m.taliento@unifg.it TEROVA GENCIANA genciana.terova@uninsubria.it TIRELLI MARIO mario.tirelli@uniroma3.it TONELLI NATASCIA natascia.tonelli@unisi.it TOSCANO MARIO Mario.Toscano@uniroma1.it TUCCI ANDREA a.tucci@unifg.it VAIRA BERARDINO berardino.vaira@unibo.it VERGATI STEFANIA stefania.vergati@uniroma1.it VOLPICELLA ANGELA a.volpicella@lettere.uniba.it ZAMPA PAOLA paola.zampa@uniroma1.it ZANGRANDO ENNIO ezangrando@units.it ZEN FRANCESCO francesco.zen@unipd.it ZOTTERI GIULIO giulio.zotteri@polito.it

Legge di stabilità, la camera intervenga a favore dei professori associati

Da Europa quotidiano, 27 novembre 2013
http://www.europaquotidiano.it/2013/11/27/legge-di-stabilita-la-camera-intervenga-a-favore-dei-ricercatori-associati/
Forse non tutti sanno che gli ultimi concorsi universitari locali vennero banditi nel 2008 ed espletati nel 2010, poco prima dell’entrata in vigore della legge Gelmini che fu approvata nel dicembre dello stesso anno. Durante quella lunga sospensione temporale, il governo dell’epoca avrebbe potuto anche annullare quei concorsi “vecchia maniera” ed espletarli in seguito con nuove norme, ma non lo fece. Decise invece di procedere rendendo più rigorose le modalità di formazione delle commissioni, che vennero per quattro quinti sorteggiate e non più elette in modo più o meno discrezionale dagli Atenei. Quel governo scelse, quindi, con convinzione di portare a compimento il processo concorsuale iniziato e in qualche modo se ne assunse la responsabilità.
Purtroppo, tale responsabilità nei nostri confronti è stata sostanzialmente elusa: a tutt’oggi siamo circa duecento professori associati idonei al ruolo di professore ordinario con la carriera bloccata dal 2010, perchè impossibilitati a prendere servizio nel nuovo ruolo, a causa di una complessa catena di norme sovrappostesi negli ultimi anni. L’idoneità quinquennale da noi regolarmente conseguita scadrà l’anno prossimo e allora diventeremo merce avariata: un’ingiustizia nei nostri confronti, un grave danno agli Atenei di appartenenza e uno spreco di risorse finanziarie investite nei concorsi di cui siamo risultati vincitori.
Al contrario, altri nostri colleghi, risultati idonei nella stessa tornata concorsuale, e spesso nello stesso concorso, sono entrati regolarmente in servizio solo perché si trovavano in Atenei più “virtuosi”, ovvero in condizioni finanziarie migliori di altri, oppure grazie a circostanze che si potrebbero definire fortuite. Vale la pena ricordare che il sistema universitario pubblico è stato pesantemente colpito dalla drastica contrazione del turnover che nell’ultimo biennio è sceso al 20%, in molte sedi addiruttura non si supera il 10% (un nuovo assunto per ogni 10 professori in pensione). Ma il fattore economico, nel nostro caso, non è un aspetto limitante: noi costiamo poco, essendo già professori associati con anzianità di servizio. Infatti, il nostro avanzamento a ordinario comporterebbe un investimento calcolabile in circa 60 “punti organico”, solo il 2.8% rispetto ai 2.227,48 recuperati in seguito ai pensionamenti e riutilizzati solo in minima parte, a causa del blocco del turnover.
Che sia ben chiaro, noi non vogliamo una sanatoria, come qualcuno sostiene per indebolire le nostre richieste. Siamo dei professionisti seri, il nostro profilo didattico e scientifico è testimoniato dai molti anni di attività di insegnamemento universitario certificato, dai numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali di cui siamo titolari o a cui partecipiamo, dalle collaborazioni con prestigiosi centri di ricerca esteri e dalla qualità delle nostre pubblicazioni. Desideriamo solo il riconoscimento di un titolo maturato sul campo e ottenuto attraverso concorsi di certo sicuramente più restrittivi delle attuali abilitazioni nazionali. Risolvere tale situazione di disparità significa anche rendere più agevole la prossima attuazione della nuova normativa di reclutamento legata alle abilitazioni nazionali, senza creare ulteriori conflitti. Forti del nuovo ruolo, potremmo inoltre contribuire maggiormente allo sviluppo della ricerca e dell’innovazione nel Paese, non a caso molti di noi hanno scelto di rimanere in Italia nonostante avessero migliori prospettive all’estero.
Nella recente discussione al senato sulla legge di stabilità sono stati presentati due emendamenti tendenti a risolvere tale situazione critica, uno presentato dal Pd (Senatori firmatari Tocci, Puglisi, Di Giorgi, Idem, Marcucci, Martini, Mineo, Zavoli, Nencini, Pagliari) ed un altro del Pdl (Senatore firmatario Mazzoni,) che sono stati accolti dalla Commissione VII (Cultura) e hanno raccolto un ampio consenso tra gli altri senatori. Purtroppo, al di là di ogni motivazione di buon senso e secondo la logica della mannaia indiscriminata, il governo ha bocciato quegli emendamenti. Un atto di discriminazione nei nostri confronti, rispetto a tutti coloro che sono stati reclutati secondo la vecchia procedura.
Adesso la partita si riaprirà alla camera ed il Coordinamento idonei prima fascia intende incrementare l’opera di sensibilizzazione già iniziata al Senato e aprire un confronto con il governo per promuovere un emendamento risolutivo della discriminazione.

sabato 23 novembre 2013

Una lettera a docenti, ricercatori, dottorandi e borsisti: non restiamo in silenzio, facciamoci sentire con azioni concrete di protesta

Cari colleghi e amici,
Come sapete bene, la situazione negli atenei e nei centri di ricerca è sempre più grave. Alla cronica e progressiva riduzione dei finanziamenti, ora si è aggiunta la cancellazione del Prin 2013 e la competizione, già molto serrata, sta diventando un gioco al massacro dove gruppi anche produttivi rischiano di essere spazzati via.
Come se non bastasse, a tutto ciò si sono sommate le ripercussioni dovute all'uso della bibliometria automatica e quantitativa dell'Anvur, per valutare università, enti di ricerca e ricercatori. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati aberranti della recente della VQR. Per non parlare delle ASN con le maree di candidati che si sono presentati, con le commissioni nel caos e con risultati che non rispecchiano necessariamente qualità e originalità della ricerca dei candidati. E che ne dite della storia delle mediane per selezionare coordinatori del dottorato e relativi membri della giunta?
Le mediane stanno diventando una pericolossissima arma impropria finalizzata ad una vera e propria "eugenetica" della ricerca. E' chiaro che quelli che si ritrovano avvantaggiati dal sistema Anvur siano un po' recalcitranti a spingere per modificarlo o abbandonarlo del tutto. Ma io credo che, al di là del tornaconto personale, bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di ammettere che la valutazione non è questa e che questo sistema non può altro che accelerare il declino totale di università e ricerca.
Su questi e altri argomenti ho scritto una lettera aperta che è stata pubblicata di recente su Europa (http://www.europaquotidiano.it/2013/11/11/caro-letta-universita-e-ricerca-sono-ancora-figlie-di-un-dio-minore) e sul blog Roars (http://www.roars.it/online), un sito che vi consiglio di consultare in quanto strumento di informazione molto utile per tutti noi.
Segnalo inoltre un interessante articolo apparso esattamente due anni fa sempre su Roars, dove Jacopo Meldolesi con una seria e approfondita analisi metteva a nudo i vari difetti della bibliometria dell'Anvur (http://www.roars.it/online/valutazione-della-ricerca-in-biologia-e-medicina-si-puo-fare-anche-per-bene). Jacopo Meldolesi aveva previsto con un certo anticipo i problemi che si sono creati oggi in seguito all'uso selvaggio delle mediane e vedeva come possibile un altro tipo di valutazione, sicuramente più affidabile e oggettiva di quella partorita dalle menti eccelse dei sette saggi dell'Anvur. Purtroppo le cose sono andate diversamente.
Oggi quando parlo con molti di voi, noto un enorme senso di rabbia e delusione, che però sfocia in una triste rassegnazione che sta avendo il sopravvento: si accetta tutto senza fiatare e si pensa solo a sopravvivere. Un domani accetteremo anche di pulire i gabinetti, se questo ci sarà imposto dal rettore o dal ministro di turno.
Come siamo arrivati a questo punto? Non credo sia giusto, nei nostri confronti ma soprattutto per i più giovani. Dobbiamo reagire e pensare a delle forme concrete e vivaci di protesta, allo scopo di ribaltare questa situazione di degrado.
Io credo che l'unico modo che abbiamo per essere presi in considerazione dal governo sia di bloccare lauree ed esami. Alcuni colleghi dicono che si penalizzerebbero gli studenti. Ma gli studenti sono già gravemente penalizzati dalle condizioni in cui si trovano università e ricerca pubbliche, dovrebbero capire che protestiamo anche per loro.
Nel frattempo, credo sia il caso di ravvivare la petizione contro l’uso della bibliometria, che avevamo aperto a giugno scorso: ecco il link, diffondetelo anche tra i giovani http://www.petizioni24.com/forum/60788#1
Un saluto a tutti, Patrizio Dimitri

mercoledì 20 novembre 2013

La lettera aperta inviata ai candidati alla segreteria del PD nel 2007: cosa è cambiato da allora?

Pubblico il testo di una lettera aperta su Università e Ricerca inviata nel settembre del 2007 agli allora candidati alla segreteria del PD, a cui risposero Walter Veltroni, Enrico Letta, Rosy Bindi e Luciano Modica.
E' molto triste, per non dire peggio, notare che i problemi per Università e Ricerca pubbliche sono sempre gli stessi (mancanza di programmazione, azzeramento dei finanziamenti, cancellazione del Prin ecc), ma da allora la già grave situazione, come sappiamo bene, è ulteriormente peggiorata. Quale malato migliora in assenza dei giusti interventi medici? E' vero che raramente anche i malati terminali possono guarire in modo inspiegabile, è un miracolo quello che ci vuole per salvare Università e Ricerca? Dobbiamo andare a Lourdes?
Il testo della lettera aperta del 2007, firmata da più di 500 ricercatori e docenti italiani, è quindi ancora molto attuale e si potrebbe inoltrare tale e quale agli esponenti di questo governo, al Ministro Carrozza e a tutti politici del nostro paese.
LETTERA APERTA SU UNIVERSITA' E RICERCA AI CANDIDATI ALLA SEGRETERIA DEL PARTITO DEMOCRATICO - Mario Adinolfi - Rosy Bindi - Jacopo Gavazzoli Schettini - Piergiorgio Gawronski - Enrico Letta - Walter Veltroni
p.c. On. Ministro Fabio Mussi On. sottosegretario Luciano Modica
Roma, 11 settembre 2007
Gentili candidati alla segreteria del Partito Democratico,
La ricerca scientifica è da sempre stata, e lo è ancor di più oggi, un elemento chiave della crescita e sviluppo di un paese evoluto. Molti stati investono nella ricerca pubblica ingenti risorse e significative porzioni del PIL. Purtroppo, nel nostro paese, i finanziamenti, già scarsi, sono ora diventati drammaticamente insufficienti, a causa sia di una finanziaria che ha penalizzato fortemente Università e ricerca pubblica, sia di una gestione dell’esistente fino ad oggi inadeguata. I problemi della ricerca in Italia non sono una novità, ma oggi la loro gravità è ulteriormente cresciuta, con conseguenze negative enormi sullo sviluppo culturale e tecnologico del nostro paese. Un cambio di strategia appare urgente ed esso non può concretizzarsi senza una presa di coscienza da parte del Partito Democratico, il nuovo partito della maggioranza di governo, e della sua dirigenza.
Paesi come Gran Bretagna e Francia hanno steso documenti di programmazione della ricerca pubblica per il decennio 2004-2014. Da noi, invece, ogni forma di seria programmazione sembra misteriosamente inattuabile. E’ deludente notare come, dopo più di un anno di legislatura, nessuno dei buoni propositi annunciati dal Governo a favore di Università e Ricerca sia stato realizzato. Le riforme promesse sono tuttora “imbalsamate” da normative vecchie e nuove, la cui discussione sta creando una fase di stallo apparentemente senza fine. I concorsi per professore associato ed ordinario sono bloccati per effetto della legge Moratti, che il Governo ancora non sembra avere intenzione di modificare, mentre l’istituzione della terza fascia della docenza è ancora in fieri. I concorsi per 2000 nuovi posti di ricercatore universitario, dichiarati imminenti in molteplici occasioni, non sono stati banditi perchè ancora si attende l’approvazione del nuovo regolamento sul reclutamento. E’ di qualche giorno fa la notizia che Mussi avrebbe sbloccato 20 milioni di euro da utilizzare per nuovi concorsi di ricercatore universitario da bandire secondo le tanto criticate vecchie norme, ancora in vigore. Questo ultimo intervento, benché improcrastinabile, rappresenta in realtà un fallimento: le riforme annunciate non vengono attuate e si fa un clamoroso dietro front, per salvare capre e cavoli.
Sul fronte dei fondi destinati alla ricerca le cose vanno, se possibile, ancora peggio. Il finanziamento agli Enti Pubblici di ricerca è stato decurtato da un “accantonamento” per il risanamento del bilancio dello stato, che si voleva provvisorio, ma del quale non si è vista alcune forma di restituzione, contrariamente a quanto più volte assicurato. Come se non bastasse, il PRIN (Progetti di Ricerca d’Interesse Nazionale, istituito dal primo governo Prodi nel 1996), la più importante fonte di finanziamento per la ricerca di base universitaria, non ha ancora erogato i finanziamenti già deliberati per il 2007 e non è stato ancora bandito per il 2008, malgrado i reiterati annunci del Ministro Mussi e del Sottosegretario Modica. Siamo venuti a sapere che il decreto è stato rispedito al mittente dalla Corte dei Conti, con la richiesta di correzioni necessarie a renderlo compatibile con le normative vigenti. Dopo ben 6 mesi di ritardo sulla data prevista per il bando, esiste il serio rischio, per la prima volta dall’istituzione del programma, che per l’anno in corso esso non venga bandito. Si verificherebbe, così, l’assurda circostanza che, per l’anno in corso, i fondi della ricerca fondamentale, già fortemente decurtati dai governi di centrodestra, non vengano affatto erogati dal governo di centrosinistra.
Fino ad oggi gli interventi economici del Governo si sono orientati soprattutto verso necessità che sembravano immediate e hanno trascurato la ricerca, il cui sviluppo sembrava procrastinabile. Si è trattato di un grave errore. La ricerca, infatti, soprattutto se di alto profilo, è un'attività soggetta a forte competizione internazionale e la sua interruzione per mancanza di fondi, anche per un solo anno, può comportare danni gravissimi: sprechi di investimenti precedenti in personale ed attrezzature, perdita delle prospettive di applicazione tecnologica, dissoluzione dei gruppi migliori, fuga dei cervelli, disincentivi all’impegno dei molti ricercatori qualificati che rimangono e delle decine di migliaia di giovani in formazione. Inoltre la crisi della ricerca avrà conseguenze nefaste anche sulla didattica universitaria, che è indissolubilmente legata alla ricerca stessa, rendendo difficile un ricambio qualificato dei molti docenti vicini alla pensione.
Mai in precedenza abbiamo conosciuto difficoltà di tale entità, mai ci eravamo trovati a “navigare in acque così stagnanti”. A nostro giudizio tale situazione costituisce un’emergenza nazionale e richiede quindi un intervento rapido e di lunga durata. Occorre una svolta per superare questa drammatica fase di stallo ed evitare un disastro che può diventare irrecuperabile. Il Governo deve finalmente attuare provvedimenti concreti, adeguati ed immediati; la classe politica deve creare le condizioni, non solo economiche ma anche normative, perché una situazione del genere non si presenti mai più.
La comunità scientifica, nel nostro Paese ha un ruolo poco adeguato alle sue grandi potenzialità. Al contempo, il Paese ha grande bisogno di aumentare il numero dei suoi scienziati qualificati, di meccanismi di formazione e valutazione, di cultura scientifica. Investimenti in questa direzione sono condizione indispensabile per lo sviluppo verso l’alta cultura e l’alta tecnologia, in altre parole per il successo dell’Italia nei prossimi anni. Per questo ci rivolgiamo a voi ed al nascente Partito Democratico, che si propone come guida del Paese, per stabilire un filo diretto volto a costruire un dialogo concreto. Vi invitiamo a pronunciarvi sulla priorità che pensate di assegnare, nel vostro programma, a Università e ricerca, e sulle azioni che intendete attuare nel prossimo futuro per arrivare a riforme di semplificazione e di sostanza, che introducano cambiamenti praticabili, concreti e veramente risolutivi a favore della ricerca scientifica nel nostro paese. In attesa di conoscere la misura ed i modi del vostro impegno per la ricerca, vi inviamo i nostri più cordiali saluti e auguri di buon lavoro.

venerdì 8 novembre 2013

La Ministra Carrozza scriverà a Letta per chiedergli più soldi per la ricerca.............

C'è qualcosa che mi sfugge....Manca solo l'ufficialità per la notizia della cancellazione del bando Prin 2013 da parte del Governo Letta e nel frattempo la Ministra Carrozza annuncia che scriverà a Letta per chiedergli di assegnare 150 milioni di euro alla ricerca..
Cara Ministra, ma non potevate mettervi d'accordo prima, magari così non cancellavate il Prin 2013? E poi, mi scusi, ma con la lentezza delle poste italiane, non sarebbe meglio telefonare all'onorevole Letta, così ci sbrighiamo? Infine, mi permetta, 150 milioni di euro per la ricerca pubblica sono comunque pochini, visti i mostruosi tagli degli ultimi anni, ne servirebbero almeno 300.
Ecco l'intervista rilasciata al "Il Messaggero" dalla Carrozza.
http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/carrozza-stage-nelle-aziende-per-i-licei-e-300-milioni-per-la-ricerca-scrivero-una-lettera-a-letta-per-chiedere-piu-fondi-per-il-diritto-allo-studio.flc

Cancellato il bando Prin 2013??

Udite, udite: si sta facendo sempre più insistente una voce secondo cui il bando Prin 2013 (che sarebbe dovuto uscire nel 2014) sarebbe stato cancellato e che il fondi residui verranno utilizzati per un bando Firb dedicato ai giovani ricercatori precari. http://www.uninews24.it/news-nazionali-universita-italia/10828-cancellato-il-prin-2014.html
Vero o falso? Speriamo ardentemente che questa voce non corrisponda a verità, si tratterebbe di un'ennesima beffa, un fatto assurdo e gravissimo. Aspettiamo qualche giorno prima di commentare......

lunedì 4 novembre 2013

La ricerca di base: il sapere che ci fa ricchi

Qualche anno fa il premio nobel Renato Dulbecco dichiarò "Chi investe così poco in ricerca non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori", ma è rimasto inascoltato.
Per gli addetti ai lavori è più che evidente che la ricerca di base meriti di essere considerata una risorsa importante del paese e debba essere incentivata con finanziamenti adeguati. Ma se i nostri governi sono latitanti, se l'atteggiamento di una classe politica per buona parte ignorante e corrotta è quello di considerare la ricerca di base uno sterile e inutile esercizio, allora in assenza di programmazione e risorse adeguate la ricerca di base può benissimo marcire, come ormai sta accadendo e con la benedizione di tutti.
Ma la storia della scienza parla chiaro: la ricerca di base è uno dei motori fondamentali del progresso scientifico, culturale e tecnologico di un paese evoluto, senza di essa la ricerca applicata, finalizzata a scopi predefiniti, non esisterebbe.
Su questo tema segnalo il bell'articolo di Remo Bodei apparso il 20 ottobre scorso su "il Sole 24 ore" dove recensisce il bellissimo libro d "L'utilità dell'inutile" di Nuccio Ordine. Un testo che i nostri politici dovrebbero leggere (almeno quella piccola frangia dei più acculturati) e imparare a memoria!
http://www.scienzaevita.org/rassegne/e4442fe724cb936550c1f7c0a3e86eaf.PDF

Mentre Università e Ricerca pubbliche sono distrutte dai tagli, l'industria della politica consuma miliardi!!

Mentre gli effetti dei tagli del Governo Monti e del precedente Governo Berlusconi stanno distruggendo Università e Ricerca, come anche sanità e istruzione, c'è invece chi se la gode alla grande!
Di chi si tratta? Ma come non ve lo immaginate? Della nostra classe politica che ogni anno consuma miliardi di euro senza produrre gran che.
Da un articolo apparso sul "Fatto Quotidiano"si apprende che secondo un studio condotto dalla UIL quelli che in Italia ottengono dalla politica una fonte durevole di guadagno sono 1.128.722!!!! Esiste, quindi, un sottobosco di gente che ruota intorno ai partiti (comitati elettorali, segreterie di partiti, collegi elettorali, consulenti, portaborse, ecc. ecc.) che consuma miliardi di euro. Infatti, sempre secondo lo studio della UIL, i costi della politica, diretti e indiretti, nel complesso ammontano a circa 23,9 miliardi di euro annui. Una vera e propria industria che noi contribuenti sosteniamo con un costo annuo di 772 euro pro capite.
Per i dettagli leggete l'articolo de "Il Fatto Quotidiano"
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/dai-consulenti-ai-portaborse-piu-di-milione-di-persone-vivono-di-politica/763832/

sabato 2 novembre 2013

La lettera con cui nel 2007 Enrico Letta rispose al nostro appello su Università e Ricerca

Più soldi solo a chi fa ricerca, di Enrico Letta, "Europa", 29 settembre 2007
La ricerca è la fonte dello sviluppo economico e sociale di un paese. Non si tratta di un luogo comune: senza ricerca non c’è futuro per le economie Avanzate. E un partito realmente nuovo, quale il Pd ha l’ambizione di essere, non può che conferirle un rilievo prioritario nella sua carta fondativa. In particolare se crediamo – come sto ripetendo in queste settimane di campagna per le primarie – che la costruzione del futuro debba rappresentare il punto di partenza e, al tempo stesso, il nerbo della proposta politica del Partito democratico. Difendere e rilanciare la ricerca in Italia significa preparare il terreno per un futuro migliore, per noi stessi e per i nostri figli. Per questo il grido di allarme lanciato ai candidati alla segreteria del Pd da una parte importante del mondo della ricerca italiana, e pubblicato martedì scorso da Europa, merita attenzione nell’analisi e cautela nella formulazione di eventuali soluzioni. Soprattutto perché, se prevalesse ancora una volta la delusione, perderemmo, forse definitivamente, la fiducia di un pezzo irrinunciabile dell’intelligenza del paese.
Partiamo da alcune evidenze. Da oltre un decennio il sistema della ricerca paga lo scotto di un quadro della finanza pubblica deteriorato, che, schiacciato sotto il peso di un enorme debito, continua a penalizzare gli investimenti in settori chiave per la nostra economia.Non solo la ricerca, ma anche l’innovazione tecnologica, le grandi infrastrutture, le energie rinnovabili. Negli ultimi anni a questa oggettiva criticità si sono accompagnati i contraccolpi di una concorrenza mondiale durissima, proveniente soprattutto dai paesi emergenti. In un simile contesto, in assenza di una risposta di sistema, dietro l’angolo potrebbe esserci l’ennesima emorragia di eccellenti ricercatori. Il tutto a discapito evidentemente di quella valorizzazione del capitale umano e della creatività che da anni invochiamo come un fattore chiave per recuperare slancio e competitività.
Il governo Prodi ha avviato alcune misure per rispondere alle istanze sempre più diffuse e autorevoli avanzate dal mondo della ricerca. Dal varo dell’Agenzia per la valutazione al piano di risanamento finanziario per le università concordato tra il ministro Mussi e il ministro Padoa-Schioppa. Fino all’apertura, recentissima, del bando Prin. Molto ancora c’è da fare, lo sappiamo. In particolare, è fondamentale dare risposte tangibili, con investimenti cospicui, per quanto riguarda il piano per i nuovi ricercatori e lo sblocco dei concorsi, con l’obiettivo di favorire l’immissione in ruolo di tanti giovani da anni in attesa della propria, legittima, opportunità. L’Agenzia di valutazione deve partire subito.
Il Cnr deve ritornare al suo ruolo di motore fondamentale della ricerca, governato, come accade in tutti i paesi europei, da scienziati di fama e non da manager.
Si tratta di obiettivi ambiziosi e di breve termine, possibili da raggiungere se intorno ad essi saremo in grado di convogliare l’attenzione e il consenso dell’intera maggioranza di governo. Esistono poi obiettivi più a lunga gittata, sui quali il Partito democratico, fin dalla sua costituzione, può pungolare insistentemente il dibattito. Contribuendo anzitutto a superare l’equivoco concettuale secondo cui le politiche per la ricerca sono settoriali, appannaggio esclusivo di un solo ministero. E ricordando a tutti che la fuga dei cervelli – riflesso e allo stesso tempo concausa dello stato in cui versa la ricerca italiana – rischia di trasformarsi in una sconfitta d’immagine per il nostro paese, nella dimostrazione della nostra incapacità di offrire occasioni di futuro alle nostre eccellenze. Premesso che è facile e quasi banale affermare che occorre garantire finanziamenti adeguati alla ricerca e non interromperne il flusso, come purtroppo negli ultimi anni è accaduto, vorrei esporre anche alcune idee forse un po’ eterodosse rispetto alle attese dei firmatari dell’appello, ma credo che, proprio perché l’ambizione del Pd è quella di disegnare il futuro del paese, sia opportuno misurarsi sulle questioni difficili.
Primo. Sono convinto che occorra separare i canali di finanziamento delle università in due parti: una proporzionale al numero degli studenti iscritti e con premialità per i servizi alla didattica migliori; l’altra rigorosamente proporzionale alla ricerca. Secondo. Credo che anche una ricerca che possa diventare attività imprenditoriale debba essere incentivata: corsi di dottorato con un corpo docenti internazionale, tenuti in inglese, con l’obiettivo non necessariamente di preparare alla carriera accademica, ma magari di inserire uomini e progetti innovativi nell’industria e, perché no?, nell’alta amministrazione pubblica.
In conclusione, su questi temi è necessario ragionare senza pregiudizi e a tutto campo, e che la valorizzazione dei cervelli e della ricerca scientifica non è solo questione di soldi (come, del resto, i firmatari dell’appello sanno benissimo).

Caro Letta, ASN e VQR stanno stravolgendo la valutazione di università e ricerca: era questo che lei auspicava nel 2007?

Nell'ormai lontano 2007, fui promotore di un appello firmato da centinaia di ricercatori italiani, indirizzato agli aspiranti alla segreteria dell'allora neo-PD, che alla politica chiedevano attenzione e programmazione per università e ricerca. All'appello, tra gli altri, Enrico Letta rispose con prontezza ed entusiasmo (vedi post precedente).
Il nostro appello conteneva quello che Letta giustamente definì un "grido di allarme lanciato da una parte importante del mondo della ricerca italiana". Sono passati sei anni e oggi quel grido si è ormai trasformato nel flebile rantolo di chi sta per soccombere.
Infatti, al contrario dei suoi auspici di allora, la delusione e lo sconforto hanno avuto la meglio. Basti pensare che i fondi pubblici per la ricerca hanno toccato il fondo, mi permetta il gioco di parole: il governo Monti all'ultimo bando Prin 2012 ha destinato 38 milioni di euro, una scandalosa elemosina rispetto ai circa 100 milioni del 2010-2011 e ai ben 120 milioni del 2003! Nulla è stato fatto in seguito per porre rimedio a questo vero e proprio insulto, nulla è stato fatto per aumentare il budget e portarlo ad una cifra che fosse almeno adeguata. In conseguenza, si è prodotta una competizione aberrante, dove anche l'osso del contendere veniva a mancare: solo pochi fortunati si sono salvati, per spartirsi alla fine delle misere briciole. A questo si sommano gli effetti devastanti dei tagli voluti anni prima da Tremonti et al che hanno ridotto progressivamente e drasticamente gli FFO degli Atenei.
Nel 2007, Letta si augurava la nascita dell'Anvur, a suo tempo pensata da Mussi e Modica. Nel 2013, abbiamo sotto gli occhi i risultati dell'Anvur in versione Gelmini & co: un sistema bibliometrico automatico, sia per le abilitazioni scientifiche nazionali (ASN), che per la recente VQR 2004-2010, che fa un uso improprio e aberrante della valutazione (http://www.roars.it/online/no-alla-bibliometria-per-valutare-universita-e-ricerca/).
Un sistema che tende a premiare la quantità a scapito della qualità e che in virtù di questo rischia di produrre giudizi falsati e di invertire i valori in campo. Un sistema volto a confezionare valutazioni guidate, favorevoli soprattutto ai gruppi di potere politico-accademico. Un sistema che all’estero, nei paesi dove l'etica della valutazione è il classico fiore all'occhiello, appare chiaramente inattendibile, se non addirittura risibile; tant’è vero che molti colleghi in USA e in Europa sono rimasti a bocca aperta, quando ne sono venuti a conoscenza.
Proviamo a fare qualche riflessione più approfondita sui risultati della recente VQR 2004-2010, in base ai quali verranno assegnati i fondi alle università e agli enti di ricerca. Chi conosce la ricerca scientifica perché ne è artefice, sa bene che per valutare adeguatamente il lavoro di una struttura dipartimentale o di un ente è necessario e imprescindibile esaminare complessivamente i prodotti di quelle strutture e non solo una piccola parte che non è rappresentativa del totale, come è accaduto in questo caso. Le porto un semplice esempio: il ricercatore Giovanni, su una produzione totale di 30 articoli, ne ha 28 di buono-ottimo livello, ma la VRQ gli impone di presentarne solo 3. Il ricercatore Nando, invece, su una produzione totale di 35 articoli, ne ha solo 3 di livello paragonabile ai migliori presentati da Giovanni, ma gli basteranno. Il sistema della VQR 2004-2010 darà la stessa valutazione a Giovanni e Nando, perché entrambi risultano avere 3 lavori di stesso livello qualitativo, a prescindere dal resto della loro produzione!! Usando un paragone di basso livello, è come se per decidere l'esito di un campionato di calcio si considerassero solo i risultati delle 3 migliori partite di una squadra e non quelli di tutte le partite svolte nel corso dell'intera competizione.
Sarebbero sufficienti anche solo questi presupposti per capire che un siffatto metodo non può essere minimamente rappresentativo del lavoro prodotto da una struttura di ricerca. Forse solo l'Anvur ed il nucleo di valutazione non se ne sono accorti.....In confronto la passata valutazione condotta dal CIVR era un prodotto sopraffino!!!
Ma c'è dell'altro: i punteggi assegnati agli articoli (1, 0.8, 0.5) nella maggioranza dei casi, non sono il risultato di valutazioni oggettive, ma di una normalizzazione dell'Impact Factor (IF) degli articoli stessi rispetto a quello medio della categoria della rivista su cui sono stati pubblicati. E anche questa normalizzazione può produrre grosse anomalie: può capitare che un articolo con basso IF possa ottenere la valutazione massima di 1, perché l'IF medio della sua categoria è molto basso. Ne risulta che lavori pubblicati su riviste mediocri potranno essere valutati meglio di quelli pubblicati su riviste di ottimo livello. Insomma, in generale una VQR condotta secondo tali parametri produce dei risultati falsati e non fa altro che appiattire le differenze o, anche peggio, invertire i valori in campo.
Immaginiamo che in questi anni il punto di vista dell'Onorevole Letta sulla necessità di finanziare in modo adeguato la buona ricerca e di riconoscere il merito non sia cambiato. Sono quelli attuali i risultati che Letta si auspicava 7 anni fa, quando rispose al nostro grido di dolore? Quali misure con ripercussioni positive a breve termine, il suo governo ha attuato, o sta attuando per cambiare rotta, per rimediare a questo scempio?
E 'chiaro che servono fondi pubblici cospicui per finanziare la ricerca e per sbloccare il turn over, allo scopo di ripristinare un livello fisiologico di reclutamento e progressione delle carriere. Ma ciò servirebbe a poco se per identificare il merito e per assegnare le risorse si continuassero ad usare i criteri nostrani e automatici dell'Anvur. E' quindi necessario ripensare al sistema dell'Anvur, per arrivare ad una valutazione seria e non estemporanea dei ricercatori e della ricerca, una valutazione condotta con sistemi equiparati a quelli riconosciuti a livello internazionale, basata su qualità, etica e responsabilità. Con buona pace dell’Anvur e dei suoi fallaci metodi.

lunedì 28 ottobre 2013

VQR, o meglio RQV: una valutazione alla rovescia, mentre la Carrozza tace.

Il Ministro Carrozza purtroppo non ha replicato alla mia lettera aperta pubblicata su "Europa online" (http://www.europaquotidiano.it/2013/05/13/il-villaggio-dei-dannati-della-ricerca-in-italia-lettera-aperta-al-ministro-carrozza/) e considerando che si tratta del giornale del suo partito, lasciatemi dire che questo suona alquanto strano: una replica, anche minima non si nega a nessuno, specialmente se viene da un collega. Che forse io non sia considerato un interlocutore serio?
Nella lettera alla Carrozza discutevo le preoccupazioni di buona parte del mondo accademico e della ricerca, per le ricadute negative generate dal nuovo sistema di reclutamento e progressione delle carriere basato su rigidi criteri bibliometrici, messo in piedi dall'Anvur. Un sistema automatico che tende a premiare la quantità, spesso a scapito della qualità, favorendo una meritocrazia alla rovescia. Peccato, avremmo gradito almeno un piccolo segnale. Nel lontano 2007, al contrario, sulle pagine di Europa altri più noti esponenti del suo partito (Veltroni, Letta, Bindi e Modica) avevano risposto puntualmente ad una nostra iniziativa che chiedeva ai papabili segretari del neo-Pd quali interventi avrebbe portato avanti sul fronte Università e Ricerca.
Gli interventi si possono leggere ai seguenti link
http://salvarelaricerca.blogspot.it/2007/10/cos-il-pd-sosterr-la-ricerca-di-walter.html
http://salvarelaricerca.blogspot.it/2007/10/ricerca-cos-non-basta-di-rosy-bindi.html
http://salvarelaricerca.blogspot.it/2007/09/la-risposta-di-enrico-letta-al-nostro.html
http://salvarelaricerca.blogspot.it/2007/09/la-risposta-di-luciano-modica.html
http://salvarelaricerca.blogspot.it/2007/10/basta-parole-adesso-servono-i-fatti-di.html
Purtroppo, i risultati della recente VQR 2004-2010, che aveva l'obiettivo di valutare le strutture di ricerca con i loro prodotti, non fanno altro che confermare le nostre preoccupazioni. Infatti, si sono generate aberrazioni e contraddizioni evidenti, dimostrando che anche in questo caso la metodologia utilizzata dall’Anvur per valutare i prodotti è fallimentare. E’ sotto gli occhi di tutti il caso clamoroso del punteggio medio conseguito dall’ateneo di Messina che risulta superiore a quello del Politecnico di Milano.
Tra l'altro, chi svolge ricerca scientifica sa bene che per valutare adeguatamente il lavoro di una struttura dipartimentale o di un ente di ricerca è necessario considerare tutti i suoi prodotti e non solo una minima parte che può non essere rappresentativa del totale, come è accaduto per la VQR 2004-2010.
Come è stato possibile concepire e utilizzare dei meccanismi valutativi così aberranti, sia per le abilitazioni nazionali che per la VQR? Dei meccanismi che fanno un uso improprio della valutazione e che all’estero appaiono chiaramente inattendibili. Viene da sospettare che tutto ciò che non sia il frutto di una banale svista, di un errore fatto dai soliti inconsapevoli burocrati, ma che al contrario rappresenti il risultato aberrante di una logica furbesca finalizzata a confezionare valutazioni “telecomandate” e favorevoli solo per certi gruppi di potere politico-accademico.
Molti di noi sperano ardentemente che il Ministro Carrozza voglia a correggere questo sistema, per arrivare a dei metodi di valutazione dei ricercatori e della ricerca riconosciuti a livello internazionale, basati su qualità, etica e responsabilità. Allo scopo identificare veramente sul merito, smascherando le sacche di improduttività, con buona pace dell’Anvur e dei suoi fallaci sistemi.
Le prime dichiarazioni del Ministro sembravano incoraggianti, ma concretamente per ora all'orizzonte non si intravede alcun sostanziale cambiamento di rotta.

sabato 25 maggio 2013

No alla bibliometria per valutare università e ricerca

Firmate la petizione No alla bibliometria per valutare università e ricerca, per chiedere l'abolizione degli indicatori bibliometrici per la valutazione di Università e Ricerca.
Al Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza
Onorevole Ministro,
L'università e la ricerca pubbliche in Italia hanno ormai le ore contate. Alla quasi totale sparizione dei finanziamenti si aggiungono le pesanti ripercussioni che saranno causate dal nuovo sistema di reclutamento e di progressione delle carriere basato sulle mediane degli indicatori bibliometrici concepito dall'Agenzia Nazionale di Valutazione di Università e Ricerca (Anvur).
Per sgombrare subito il campo dai facili malintesi, deve essere chiaro che noi non contestiamo la bibliometria dell' Anvur per timore di essere giudicati. Siamo dei seri professionisti, abituati ad essere giudicati dai peers per la pubblicazione dei nostri lavori e dagli studenti che assistono alle nostre lezioni. Siamo convinti che una valutazione seria, trasparente e condivisa dell’attività scientifica di ricercatori e docenti, sia un requisito fondamentale e irrinunciabile per il buon funzionamento del sistema dell'Università e della Ricerca. Riteniamo però estremamente pericoloso dal punto di vista culturale e scientifico che la valutazione sia affidata esclusivamente a un sistema bibliometrico automatico.
Come lei sa, a livello internazionale non esistono precedenti per quanto riguarda l'uso di mediane ai fini del reclutamento. Infatti, gli indicatori bibliometrici sono ritenuti inadeguati, in assenza di altri parametri, per valutare i livelli di qualità, autonomia scientifica o originalità di ricerca ed il loro uso è fortemente sconsigliato (http://www.roars.it/online/incerti-incompleti-e-modificabili-ecco-gli-indicatori-dei-candidati-allabilitazione/). Gli indicatori dell'Anvur, infatti, non entrano nel merito del numero degli autori e del contributo apportato dai singoli partecipanti agli articoli soggetti a valutazione e non tengono conto del livello qualitativo delle sedi di pubblicazione. Come se non bastasse, le forti oscillazioni che i valori delle mediane mostrano tra settori, anche appartenenti alla stessa area, creano forti disparità tra concorrenti: in certi casi è sufficiente avere una produzione appena mediocre per essere abilitato, mentre in altri viene richiesto un curriculum tale da mettere in difficoltà anche studiosi di fama internazionale. E' quasi inevitabile che questo sistema casereccio di "valutazione di stato" finirà per produrre svariate distorsioni, dando luogo in molti casi ad una meritocrazia alla rovescia, premiando la quantità a scapito della qualità.
L’utilizzo rigido degli stessi indicatori è stato messo in discussione addirittura dalla stessa Anvur. Sul sito dell'agenzia si legge, infatti, che il mancato raggiungimento dei parametri non preclude in alcun modo il diritto a partecipare alla abilitazione nazionale e anche il Ministero in un comunicato, ha invitato le commissioni a non considerarli indispensabili per l’abilitazione. Questa tardiva "conversione” ha però creato ulteriori problemi: nelle attuali abiltazioni le varie commissioni stanno adottando metri di giudizio diversi, con il risultato di fomentare polemiche, contenziosi e ricorsi che potrebbero mandare in stallo l'intero sistema. Una situazione stigmatizzata anche dai membri di molte commissioni che vivono una evidente frustazione per il gravoso e inutile compito che sono costretti a svolgere.
Usando una metafora biologica, il virus delle mediane Anvur in realtà sembra ormai fuori controllo e si sta rapidamente diffondendo, con ripercussioni negative a vari livelli. Ad esempio, in fase di reclutamento locale, le mediane potranno essere utilizzate come strumento per attuare una sorta di "eugenetica di docenti e ricercatori", ovvero: solo chi supera le mediane vale. Questo, in verità, sta già avvenendo per la selezione dei progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin): un fenomeno aberrante sia dal punto di vista scientifico che culturale. Un altro effetto scatenato da questa "infezione" è rappresentato dalla spasmodica corsa al superamento delle mediane. Uno spinta perversa a pubblicare molto e subito, con ovvie ricadute negative su qualità, originalità e profondità del contributo scientifico, ma anche uno stimolo a mettere in atto escamotage e a innescare comportamenti scorretti, secondo la peggiore tradizione italiana. I soliti furbetti dell'accademia italiana, infatti, si stanno già attrezzando per racimolare surrogati di pubblicazioni su riviste caserecce dell'ultimo minuto e per barattare authorship e citazioni. Non c'è che dire, proprio un bel segnale educativo per le giovani generazioni.
Gentile Ministro, in virtù di quanto esposto, è evidente che malgrado le ingenti risorse e le energie investite, la nave nell'Anvur rischia di affondare prima di essere salpata, a causa di un sistema valutativo che si sta rivelando già in partenza più controproducente che utile.
Le chiediamo, quindi, che venga rivista sostanzialmente l'organizzazione dell'Anvur e le sua funzione e che sia abolito l'utilizzo dei requisiti bibliometrici, per mettere in atto misure urgenti ed efficaci volte ad instaurare un nuovo sistema di valutazione ispirato alle migliori pratiche internazionali. Un sistema basato su etica, qualità e responsabilità con il ruolo centrale dei Dipartimenti nel reclutamento e nella progressione delle carriere, che preveda una valutazione ex-post dei ricercatori e dei Dipartimenti stessi su base premiale.

Il villaggio dei dannati della ricerca (lettera aperta alla ministro Maria Chiara Carrozza)

Gentile Ministro Carrozza,
l’università e la ricerca pubbliche in Italia versano in condizioni disperate e come docente e ricercatore sento il bisogno di esprimerle la mia grande preoccupazione per una situazione che costituisce un’emergenza senza precedenti. I problemi da affontare sono molti e il suo compito è gravoso, ma a mio parere in questo momento esistono due principali priorità: i finanziamenti pubblici alla ricerca e il sistema di valutazione basato sui parametri dell’Agenzia nazionale di valutazione di università e ricerca (Anvur).
Anni fa Mario Capecchi, premio Nobel per la Biologia e Medicina, disse che «la ricerca scientifica è un elemento cardine dello sviluppo di un paese evoluto». Per questo, molti stati investono in ricerca pubblica ingenti porzioni del Pil, mentre in Italia le uniche misure attuate dagli ultimi governi hanno previsto solo tagli pesanti e indiscriminati, anche perché il pregiudizio ricorrente è che si spenda troppo per l’università e per una ricerca scientifica che non produce nulla. Niente di più falso, come dimostra una raffinata analisi di Giuseppe De Nicolao basata su dati Ocse . In particolare, a fronte di uno dei più bassi investimenti mondiali in rapporto al Pil, dal 1996 al 2010 l’Italia è per produzione scientifica all’ottavo posto nel mondo. Una specie di miracolo definito “italian paradox” sul sito del Cnrs.
Come era prevedibile, i tagli hanno avuto delle ricadute pesantissime. Sugli atenei, con il blocco del turnover, il calo delle assunzioni e nuovi aumenti delle tasse universitarie e anche sulla ricerca pubblica, con la quasi totale sparizione dei fondi ministeriali. Clamorosa la decurtazione di quelli destinati ai progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin), istituiti nel 1996 dal governo Prodi, unica fonte di finanziamento per la ricerca pubblica. Per il bando del 2012, alle 14 aeree disciplinari il governo Monti ha destinato 38 milioni di euro, una miseria rispetto al passato (170 milioni di euro per il bando congiunto 2010-2011, 137 milioni nel 2004). Un insulto alla dignità e alla professionalità di migliaia di ricercatori che nei casi più fortunati, racimoleranno solo briciole. Al budget infimo dei Prin si sommano altre restrizioni da eliminare: il vincolo all’aggregazione dei ricercatori in base a fasce di età, che di fatto limita la libertà di ricerca e la preselezione dei progetti interna agli atenei, facilmente addomesticabile dai soliti noti. Nel complesso, questa situazione, lungi dal nuocere a fannulloni e nepotisti, penalizza le componenti più produttive e vitali degli Atenei e dei centri di ricerca.
Alla penuria di fondi si sommano i problemi causati dal nuovo sistema di reclutamento e progressione delle carriere basato sulle mediane degli indicatori bibliometrici (articoli pubblicati negli ultimi dieci anni, h-index e citazioni) stabiliti Anvur. È innegabile che la valutazione dell’attività scientifica di ricercatori e docenti rappresenta un requisito irrinunciabile, ma è rischioso affidarla a rigidi indicatori che a livello internazionale sono sconsigliati in quanto fallaci nel valutare autonomia scientifica, qualità e originalità. Gli indicatori, infatti, non entrano nel merito del contributo dei singoli negli articoli, che è invece fondamentale soprattutto nel settore scientifico (ad esempio in Biologia e Medicina) e viene espresso dall’ordine degli autori. E non tengono nemmeno conto del livello qualitativo delle riviste scientifiche dove sono pubblicati gli articoli stessi. Con questi criteri aberranti, ad esempio, 20 articoli su Annali italiani di chirurgia, varrebbero più di 10 articoli su Nature. Inoltre, le mediane degli indicatori mostrano forti oscillazioni tra macro-settori, anche di una stessa area e in certi casi per superarle è sufficiente una produzione scientifica appena mediocre, mentre in altri viene richiesto un curriculum da Nobel. Ma c’è di più: i settori con mediane più basse, quindi di livello minore, nel tempo potranno attrarre più candidati abilitati, crescendo (ma solo dal punto di vista quantitativo) a discapito dei settori più competitivi con mediane più alte, più difficili da essere superate. Un’eccezione potrebbe essere rappresentata da quei campi di indagine che fisiologicamente sono già più diffusi e dominanti.
Infine, ci sono le ricadute negative che l’utilizzo degli indicatori avrà soprattutto sui più giovani. D’ora in poi, nel “villaggio dei dannati della ricerca italiana” dottorandi, borsisti, assegnisti di ricerca e neo-ricercatori saranno impegnati nella spasmodica rincorsa al superamento delle mediane. Saranno spinti a pubblicare molto e molto fretta, scegliendo settori di indagine di moda che fruttano più citazioni di altri, privilegiando la quantità alla qualità, a discapito di autonomia, approfondimento, curiosità e originalità.
Non sarebbe stato meglio per tutti, se l’Anvur si fosse confrontata con la comunità scientifica per arrivare a delle scelte il più possibile condivise, invece di comportarsi come un’astronave aliena sbarcata sulla terra per soggiogare il genere umano?
L’utilizzo delle sconsiderate mediane potrà avere un impatto negativo anche sulla chiamata di chi è già idoneo. Infatti, la Sapienza di Roma ha attivato di una procedura per la chiamata degli idonei di prima fascia a cui sarà ammesso solo chi supera tutte e tre le mediane Anvur. Un provvedimento che viola le norme della recente riforma, secondo cui gli organi responsabili del reclutamento sono i Dipartimenti.
Gentile Ministro, è così che si intende premiare il merito e incentivare la ricerca nel nostro paese? Un tale sistema di valutazione, automatico e casereccio in molti casi premierà la quantità a scapito della qualità, producendo una meritocrazia alla rovescia. L’università e la ricerca in Italia hanno bisogno di una cura, ma questa non deve uccidere il paziente, come purtroppo sta accadendo, è urgente un cambio di strategia. Auspichiamo che tra i suoi primi interventi lei abbia la forza di mettere in atto misure efficaci che introducano un nuovo sistema di valutazione per l’assegnazione dei finanziamenti, per il reclutamento e la progressione delle carriere, basato su qualità, etica e responsabilità.
Se ciò non accadrà, se in Italia la classe politica e dirigente continuerà solo a sbandierare proclami elettorali e agende virtuali, se l’istruzione e la ricerca pubbliche verranno fatte morire, il decadimento del nostro paese sarà sempre più veloce e la melma del sottosviluppo morale, culturale e economico ci sommegerà definitamente.
Patrizio Dimitri, Professore associato di Genetica Dipartimento di Biologia e Biotecnologie "Charles Darwin", Università La Sapienza
Pubblicato su Europa, 13 MAGGIO 2013 http://www.europaquotidiano.it/2013/05/13/il-villaggio-dei-dannati-della-ricerca-in-italia-lettera-aperta-al-ministro-carrozza/

mercoledì 1 maggio 2013

Breve messaggio al neo Ministro Maria Chiara Carrozza

Gentile Ministro,
Mi rivolgo a lei per comunicarle la mia grande preoccupazione, e quella di moltissimi colleghi, per le dannose ripercussioni in ambito universitario che potranno derivare dal nuovo sistema delle abilitazioni, basato sulla rigida e casereccia bibliometria stabilita dall'Agenzia nazionale di valutazione di Università e Ricerca (Anvur).
E’ innegabile che una seria e trasparente valutazione dell’attività scientifica rappresenta un requisito fondamentale e irrinunciabile per il reclutamento di ricercatori e docenti, ma è quantomeno rischioso affidarla esclusivamente a rigidi indicatori bibliometrici. Infatti, come lei sa, a livello internazionale tali indicatori non sono ritenuti affidabili per valutare i livelli di qualità, autonomia scientifica o originalità di ricerca. Per quanto riguarda il numero di pubblicazioni e di relative citazioni, ad esempio, gli indicatori non permettono affatto di entrare nel merito del contributo apportato dai singoli autori. Soprattutto nel settore scientifico, in Biologia e Medicina, due delle aree CUN più ampie, l’ordine degli autori di un articolo è invece fondamentale perché rispecchia il contributo al lavoro. Come se non bastasse, gli indicatori Anvur non tengono nemmeno conto del livello qualitativo delle riviste scientifiche dove sono stati pubblicati gli articoli soggetti a valutazione. Secondo questa logica aberrante, 20 articoli su Annali Italiani di Chirurgia, valgono più di 10 articoli su Nature. E' così che si intende premiare il merito nel nostro paese? Con un siffatto sistema di "valutazione di stato", automatico e casereccio, c'è veramente da avere paura: nella buona parte dei casi si finirà per premiare la quantità a scapito della qualità, producendo una meritocrazia alla rovescia: un messaggio deleterio e fortemente anticulturale.
Ma gli effetti deleteri dell’utilizzo delle mediane non finiscono qui, ci potrà essere un impatto negativo anche sulla chiamata di chi è già idoneo, avendo superato i concorsi dell’ultima mandata del 2010 (vedi articolo precedente).
Gentile Ministro, speriamo ardentemente che tra i primi interventi della sua agenda ci sia la revisione definitiva del reclutamento basato sulle mediane Anvur, per arrivare ad un sistema basato su qualità, etica e responsabilità.
Con i miei migliori auguri di buon lavoro. Patrizio Dimitri

sabato 30 marzo 2013

Il diabolico esperimento del dottor Anvur: la meritocrazia alla rovescia, ovvero meglio 20 articoli su "Journal of Pizza & Fichi" che 10 su "Nature"!

Le famigerate mediane dell'Anvur, l'agenzia nazionale per la valutazione di università e ricerca hanno suscitato perplessità e critiche nel mondo universitario e della ricerca. Vari interventi puntuali apparsi sul blog Roars (http://www.roars.it/online/anvur-mobbing-zombizzazioni-e-ingiustizie-purtroppo-si/) documentano in modo serio e approfondito la fallacità e la scarsa affidabilità degli indicatori bibliometrici introdotti dall'Anvur, per valutare la qualità di ricercatori e docenti che saranno reclutati dagli atenei italiani. I "difetti di fabbrica" di questo sistema sono molteplici ed evidenti agli addetti ai lavori, forse solo i sette saggi "samurai" del consiglio direttivo l'Anvur non se ne sono accorti.
Purtroppo, buona parte della comunità scientifica e accademica sembra aver accettato passivamente l’utilizzo degli indicatori, quasi si trattase di un male ineluttabile, come d'altra parte ha fatto per tutte le leggi e norme emanate sull'università da 10 anni a questa parte. Ma i rischi e gli effetti indesiderati, sia a breve che a lungo termine, che deriveranno da questo tipo di sistema di valutazione, da questo pasticcio casereccio, sono tanti e tali che come professore universitario e ricercatore sento la necessità di non restare in silenzio e di esprimere le mia grande preoccupazione.
Cos'è che non convince in questo sistema di valutazione "automatico" basato su indicatori e mediane? E’ innegabile che una seria e trasparente valutazione dell'attività scientifica rappresenta un requisito fondamentale e irrinunciabile per il reclutamento di ricercatori e docenti, ma è quantomeno rischioso affidarla esclusivamente a rigidi indicatori numerici che a livello internazionale sono ritenuti non solo insufficienti, ma anche fuorvianti (http://www.roars.it/online/incerti-incompleti-e-modificabili-ecco-gli-indicatori-dei-candidati-allabilitazione/9.
Nei settori bibliometrici, ad esempio, oltre al numero di articoli pubblicati negli ultimi dieci anni, gli altri due indicatori stabiliti dall'Anvur sono l'H-index e il numero citazioni. Questi ultimi sono però ridondanti in quanto rappresentano le facce di una stessa medaglia, ovvero si tratta di fattori che stimano entrambi il valore di un articolo in funzione del numero di citazioni ottenute, parametro a cui viene attribuito, quindi, già in partenza un peso troppo determinante ai fini della valutazione.
Come se non bastasse, i valori delle mediane mostrano forti disparità tra macro-settori, anche tra quelli appartenenti alla stessa area (vedi ad esempio le Scienze Biologiche). In alcuni risultano esageratamente alti, forse gonfiati, tanto da sollevare seri dubbi sui criteri utilizzati per calcolarli (http://www.roars.it/online/zeru-tituli-come-anvur-ti-alza-le-mediane-e-te-fa-er-cucchiajo), non a caso si parla di "mediane fai-da-te". Di conseguenza, in certi casi basta avere una produzione scientifica normale o appena mediocre per superare le mediane, mentre in altri è indispensabile un curriculum da premio Nobel.
E' evidente, inoltre, che il superamento delle mediane non riflette necessariamente livelli assoluti di qualità, nè di autonomia scientifica o di originalità di ricerca. Infatti, nell'ambito degli articoli in esame, gli indicatori non permettono affatto di entrare nel merito del contributo apportato dai singoli autori. Soprattutto nelle aree di biologia e medicina, due delle aree CUN più ampie, l’ordine degli autori di un articolo è invece fondamentale perché rispecchia il contributo al lavoro, i principali di solito sono il primo e ultimo. Ma non finisce qui, gli indicatori Anvur non tengono nemmeno in considerazione il livello qualitativo delle riviste scientifiche dove vengono pubblicati gli articoli prodotti dai candidati. Almeno nell'area biomedica, l’impact factor sarebbe stato un possibile correttivo, un indicatore utile per stimare il livello delle riviste scientifiche, ma l’Anvur ha stranamente deciso di non considerarlo.
Stando così le cose, nel complesso il sistema dell'Anvur contiene tante e tali anomalie che, se non verranno introdotti dei sani e seri rimedi, rischierà di alterare le valutazioni. Il primo effetto ovvio e indesiderato sarà premiare la quantità a scapito della qualità: ad esempio, potrà accadere che chi ha pubblicato 20 articoli su Journal of Pizza & Fichi, rivista casereccia con impact factor di 0.005, supererà facilmente la mediana, a scapito di chi ha pubblicato 10 articoli su Nature (impact factor 36) che troverà un semaforo rosso a sbarrargli la strada. Ma un'altra aberrazione facilmente prevedibile, un'altra orrida creatura sarà generata dagli esperimenti del "dottor Anvur", per utilizzare il calzante soprannome coniato da Roars: i settori con mediane più basse, quindi di livello minore, saranno premiati e nel tempo potranno attrarre più candidati abilitati e cresceranno (ma solo dal punto di vista quantitativo) alla faccia dei settori più competitivi con mediane più alte, più difficili da essere superate. Un'eccezione a questa tendenza potrebbe essere rappresentata da quei campi di indagine che nei vari macro-settori sono già fisiologicamente più diffusi e dominanti. Ad esempio, sempre per rimanere nell'area biologica, l'utilizzo del trittico valutativo dell' Anvur avvantaggerà non poco chi svolge studi applicativi in cellule umane che, in termini di articoli (con eserciti di autori), citazioni e visibilità, di solito raccolgono di più rispetto ad altri studi, anche eccellenti, condotti però su organismi modello.
Infine, non bisogna dimenticare altri possibili effetti "mostruosi", altre ricadute negative che l'utilizzo di indicatori e mediane potrà avere soprattutto sui più giovani.
E' chiaro che d'ora in poi, nel "villaggio dei dannati della ricerca italiana" molti dottorandi, borsisti, assegnisti di ricerca e neo-ricercatori saranno impegnati in un nuovo sport estremo: la spasmodica e ansiosa rincorsa al superamento delle mediane, privilegiando sempre di più la quantità alla qualità. Il rischio è che molti giovani tendano in primo luogo a pubblicare molto e in fretta, scegliendo settori di indagine che normalmente fruttano più citazioni di altri e puntando ad appartenere a gruppi accademici potenti e protettivi. E tutto questo a discapito di autonomia, approfondimento, curiosità e originalità: valori che credevamo fossero i requisiti fondamentali di una buona attività di ricerca.
E' lecito chiedersi come mai questi aspetti siano sfuggiti ai sette saggi dell’Anvur. Abbiamo solo a che fare con delle loro clamorose sviste, oppure è possibile che si tratti del frutto di scelte meditate i cui effetti nocivi non erano stati considerati al momento di programmare l'esperimento? Non sarebbe stato meglio per tutti, se i setti saggi si fossero prima confrontati con la comunità di ricercatori e docenti e con le società scientifiche? Non sarebbe stato più saggio per i saggi, perdonate il calembour, che la scelta dei criteri valutativi venisse, il più possibile, discussa e condivisa? Invece l'Anvur sembra comportarsi come un essere alieno sbarcato sulla terra per soggiogare il genere umano
In ogni caso, si tratta di grosse falle nella "nave dell'Anvur" che si proponeva di stimare oggettivamente la produzione scientifica di ricercatori e docenti, falle che rischiano di farla affondare appena salpata. Infatti, con l'utilizzo degli attuali indicatori bibliometrici e delle relative mediane, l’esperimento del "dottor Anvur" rischia seriamente di dar vita a delle mostruosità, a delle valutazioni falsate che in molte aree tenderanno soprattutto a produrre una meritocrazia alla rovescia: un risultato che ribalta gli obiettivi originali dell’agenzia di valutazione, un vero incubo da cui ci si vorrebbe svegliare al più presto!
Se questi sono i presupposti, allora sarebbe più giusto che l'Anvur venisse ribattezzata "Ansvur", ovvero "Agenzia nazionale della svalutazione di università e ricerca".
Ma gli effetti deleteri dell'utilizzo delle mediane non finiscono qui, esse avranno un impatto negativo, una sorta di letale effetto boomerang, anche sulla chiamata di chi è già idoneo, avendo superato i concorsi dell'ultima mandata del 2010. Come è possibile, direte voi? In Italia tutto è possibile: infatti, lo scorso 26 marzo il Senato accademico della Sapienza di Roma ha deliberato l'attivazione di una procedura per la chiamata degli idonei a prima fascia da cui sarà escluso chi non supera le tre famigerate mediane.
In particolare, nell'avviso di censimento inoltrato dall'Area risorse umane della Sapienza (vedi http://www.uniroma1.it/sites/default/files/circolari/Comunicazione0020902.pdf), si legge quanto segue:
Ammissione al censimento Sono ammessi a produrre la documentazione curriculare i docenti Sapienza, in possesso della idoneità, conseguita ai sensi della Legge 210/98, (si ricorda che la durata dell’idoneità è stabilita in 5 anni) ed in possesso di requisiti di qualità scientifica non inferiori a quelli individuati dall’ANVUR per l’abilitazione nazionale dei professori di I fascia, con la variazione che devono essere posseduti tutti e tre i parametri ANVUR alla data del 18.12.2012
Si tratta di una modalità a dir poco anomala, iniqua e discriminatoria nei confronti di molti idonei. Infatti, sul sito dell’Anvur si legge che il raggiungimento delle mediane non preclude in alcun modo il diritto a partecipare alla abilitazione nazionale. Inoltre, l'utilizzo rigido degli stessi indicatori è stato messo in discussione dallo stesso Ministero che in un comunicato ha invitato le commissioni a non considerarli indispensabili per l'abilitazione. Allora, per quale motivo il Senato accademico della Sapienza, con in testa il Rettore Frati, ha deciso di attuare per la prima volta un provvedimento così lesivo che di fatto tende a screditare dei seri professionisti? Come è possibile escludere a priori da una selezione per le chiamate chi è già stato decretato idoneo tramite regolare concorso, per giunta utilizzando in modo retroattivo dei parametri poco affidabili per valutare qualità, originalità e indipendenza dei candidati? Misteri della Sapienza! E che facciamo adesso con tutti gli altri idonei che dal 2010 a oggi sono stati già chiamati da diversi Atenei, Sapienza compresa, senza utilizzare questo criterio? Sottoponiamo anche loro ad un’ulteriore valutazione retroattiva? Tra l'altro, in questo modo il Senato accademico della Sapienza ha completamente esautorato e scavalcato anche i Dipartimenti che secondo la recente riforma avrebbero dovuto essere invece gli organi responsabili del reclutamento.
Sarebbe ora che il mondo scientifico e accademico si svegliasse organizzando una sana protesta per costringere i vampiri dell’Anvur ad abbandonare la loro "sanguinaria" bibliometria con l'inaffidabile e pericoloso trittico delle mediane fai-da-te, per utilizzare finalmente metodi di valutazione affidabili e internazionalmente riconosciuti.
Nei classici della narrativa gotica-horror, gli spaventosi mostri sfuggiti al controllo dello scienziato pazzo vengono di solito resi inoffensivi insieme al loro creatore e la storia si conclude con un lieto fine. Sarà così anche nel caso delle orride creature del dottor Anvur? Speriamo ardentemente di si, altrimenti la ricerca scientifica di base nel nostro paese sarà definitivamente azzerata.