giovedì 18 dicembre 2008

Le assurde dichiarazioni di Vincenzo Cerami

Da Repubblica.it

La ministra Gelmini, piuttosto che premiare i docenti che pubblicano in fantasmatiche case editrici il risultato delle loro ricerche, dovrebbe dare consistente valore alla didattica, che ad oggi non costituisce alcun punteggio nell'ambito della carriera universitaria". E aggiunge: "Gli studenti pagano l'onerosa retta per essere istruiti e non per il curriculum di presunta scientificità dei professori. Ella deve sapere che nel quasi cento per cento dei casi si tratta di pubblicazioni inutili, pretestuose e improvvisate a mero scopo carri eristico. Temiamo che questo governo voglia dare l'impressione di cambiare molto senza, in realtà, cambiare niente".


Sinceramente speravo che le dichiarazioni di Cerami fossero state travisate, ma visto che non c'è stata alcuna smentita temo siano vere!

In primo luogo è falso che la didattica non abbia peso; noi tutti (ricercatori, associati e ordinari) dobbiamo rendere conto solo delle “famose” 365 ore di didattica (per il tempo pieno), la ricerca non viene affatto considerata tra i compiti dovuti (a parte la farsa della conferma in ruolo), è un’attività quasi opzionale, tant’è vero che noi tutti potremmo da domani decidere di fare solo didattica e nessuno verrebbe a dirci nulla.

In secondo luogo, sebbene sia vero che in certe Facoltà esistono riviste e case editrici fatte in casa, vedi l’esempio di Med Secoli rivista ad IF zero del Museo della Storia della Medicina della Sapienza dove pubblica la professoressa Luciana Angeletti, direttrice di quel Museo e moglie di Luigi Frati, l’affermazione di Cerami è un insulto a tanta gente seria che fa ricerca a livello buono, ottimo o eccellente. Possibile che il ministro ombra Cerami ignori che per molti docenti e ricercatori la pubblicazione su riviste internazionali vere, e non fantasma, è un momento fondamentale, il coronamento del proprio lavoro? Se Cerami voleva uscire dall’ombra, scusate il gioco di parole, c’è riuscito.

sabato 6 dicembre 2008

Misteri del Prin 2008: il bando pubblicato venerdì è svanito dal sito del Miur!

Venerdì 5 dicembre sul sito del Miur è apparso con grave ritardo il tanto agognato bando Prin 2008, ma nel pomeriggio è poi stranamente svanito. Se oggi andate su Google e cercate Prin 2008 tra i vari risultati compare il seguente:

"MIUR - Ricerca Scientifica e Tecnologica Decreto Ministeriale 4 dicembre 2008 prot. n. 1407/Ric/2008. Bando PRIN 2008 .... c) la quota richiesta al Ministero nell'ambito del programma PRIN 2008. ...
www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0015Atti_M/7427Bando__cf3.htm - 30k - Copia cache - Pagine simili

Cliccando però si apre una pagina che avverte: "The page cannot be found"! Che fine ha fatto il bando? Perché è stato rimosso? Il Ministero aveva inserito una versione “primitiva” del bando o sono arrivati ordini dall’alto per cancellare o inserire qualcosa che non piaceva????

Sarebbe lecito attendersi una spiegazione dal Ministro.

giovedì 4 dicembre 2008

Siamo sicuri che non si possa davvero fare a meno dei concorsi?

Inserisco in questo post la risposta del collega Marco Vannini al mio intervento sui concorsi

Nel mio gruppo siamo tutti superesperti di comportamento di gnomi e folletti (Poltergeisterlogia). Siamo un gruppo forte ed internazionalmente riconosciuto.

Il sottoscritto, addirittura il fondatore di tale disciplina per tanti aspetti innovativa e rivoulzionaria, va in pensione e chi di dovere decide che la materia é importante, che la tradizione di studio deve proseguire e che che si deve ribandire un posto di Poltergeisterlogia (nonostante le proteste degli esperti di Metempsicosi).

Un paio di candidati esistono in Italia, giovani ma più che degni. La Poltergeisterlogia appartiene però allo stesso raggruppamento disciplinare della Ufologia, materia di più antica tradizione con centinaia di ricercatori impegnati, di cui un paio hanno pubblicato persino su Martian Science (IF = 121).

Si svolge un concorso con tecniche blind, referees anonimi ecc. ed vince il bravissimo Ufologo di Lecce che alla fine arriva a Firenze in un contesto di ostilità, e soprattutto senza tutti gli strumenti necessari per portare avanti il suo lavoro (soprattutto palle di vetro e costosissimi canocchiali telepatici).

Inizio della fine della rivoluzionaria Poltergeisterlogia e trionfo della tradizionale ed un po' datata Ufologia. Se il dipartimento di Metapsichica di Firenze avesse potuto cooptare liberamente chi voleva, forse i risultati sarebbero stati opposti.


Marco Vannini
Full Professor of Invertebrate Zoology
Dip. Biologia Evoluzionistica dell'Università di Firenze

Vogliamo veramente abolire i concorsi? Di Patrizio Dimitri

Sappiamo bene che il problema dei concorsi non è un tanto quello dei meccanismi, che negli anni sono cambiati, quanto delle persone, ovvero quelle che li hanno “controllati” fino ad oggi (fatte salve le eccezioni), la parte dell’accademia dedita agli inciuci e fortemente legata al potere politico. Ecco perché le ridicole “novità” del DL 180 non cambieranno nulla, malgrado quello che sostiene il collega Francesco Giavazzi della Bocconi, nobile alter-ego della Gelmini.

Allo stato attuale, l’abolizione dei concorsi con chiamata diretta da parte di Facoltà o Dipartimenti a mio parere non è praticabile; si favorirebbe la proliferazione di ulteriori mostruosità partorite dal delirio di onnipotenza dei soliti noti e dei loro fidi scudieri. Considerando lo scarso tasso etico e l’incapacità di praticare autocontrollo e responsabilità di una buona fetta dell’Università italiana (che rispecchia la situazione generale del paese), in molti settori si arriverebbe al puro “farwest”, dove spadroneggerebbero i soliti “pistoleros”.

Secondo me i concorsi dovrebbero tornare ad essere nazionali e “vigilati” da commissioni composte da una massiccia componente di esperti stranieri, non perchè più bravi o più belli, ma solo in quanto più indipendenti e avulsi dalle lobbies politico-accademiche. Si potrebbe produrre una lista di idonei nazionali dalla quale gli Atenei potrebbero pescare i candidati. Successivamente l'attività didattica e scientifica del "prescelto" dovrebbe essere soggetta a valutazione ex-post seria e non finta come accade oggi con la farsa della conferma in ruolo. Nessuno dovrebbe offendersi o sentirsi sminuito per questo; chi ha agito in modo virtuoso finora, continuerà a farlo. Come ho già scritto anche al collega Claudio Procesi, penso che solo dopo un decennio di tale pratica, si potrebbe formare una nuova generazione accademica, in media eticamente e scientificamente migliore della precedente e finalmente passare alla chiamata diretta da parte degli Atenei, con finanziamenti legati alla valutazione dei risultati, utilizzando criteri internazionalmente riconosciuti e anche panel stranieri.

DL 180: molto rumore per nulla.

Dopo la legge 133, ecco il DL 180 sull’università pubblica. Con una raffica di articoli sul Corriere della Sera, Francesco Giavazzi della Bocconi è stato principale artefice e palese “suggeritore” del decreto al Ministro Gelmini.

Primo effetto del DL 180 è stato il blocco di concorsi già avviati per ordinari, associati e ricercatori. C’è poi il ritorno all’estrazione a sorte; per le commissioni dei concorsi di ordinario e associato saranno sorteggiati 4 ordinari da una rosa di 12 eletti per votazione. Nel reclutamento dei ricercatori, invece, è stata eliminata la prova scritta; una commissione di soli ordinari (sempre estratti a sorte) valuterà i candidati in base alla discussione di titoli e pubblicazioni. Tutti i concorsi saranno, così, affidati ai soli ordinari, perchè Giavazzi & co. pensano che associati e ricercatori siano solo comparse ricattabili (leggi il post sottostante con l'intervento di Giavazzi).

Secondo Giavazzi queste norme rappresentano una svolta epocale che scombinerà giochi già fatti e demolirà il sistema malato dei concorsi. Ammesso e non concesso che tutti gli ordinari siano potenziali ricattatori e che associati e ricercatori siano tutti ricattabili, affidare il potere decisionale proprio ai ricattatori, sostenendo di aumentare così il tasso etico delle commissioni, è una presa per i fondelli, un cocktail di logica aberrante e malafede: chi se lo beve? Le “novita” del DL 180 causeranno al massimo un lieve solletico alle lobbies politico-accademiche. I concorsi potrebbero migliorare solo tornando a essere nazionali e “vigilati” da esperti stranieri avulsi da trame caserecce.

Sul fronte turnover, gli Ateni “virtuosi” avranno risorse per riassorbire il 50% dei pensionamenti e non più il 20%. Sorprende che la “virtù” sarà definita più dai bilanci che da didattica e ricerca. Sarebbe più sensato attibure le risorse direttamente a Facoltà e Dipartimenti, previa valutazione basata su criteri internazionalmente riconosciuti e non nostrani. Purtroppo, il decreto “mordi e fuggi” per ora ha poco impatto sugli obiettivi dichiarati: molto rumore per nulla.

Infine, se le misure che prevedono gli scatti stipendiali e la distribuzione dei fondi in base alla produttività scientifica verranno attuate seriamente ne saremo lieti, ma sono previste solo a partire dal 2011: chi vivrà vedrà!

L'inizio della fine dei concorsi, di Francesco Giavazzi

Pubblico un articolo del collega Giavazzi della Bocconi, uno dei principali artefici del DL 180, ovviamente entusiasta delle "novità" introdotte.

La vera novità del decreto 180 è che per la prima volta in Italia una quota significativa delle risorse viene attribuita alle università in funzione della valutazione dei loro risultati. Intanto, nei concorsi per ricercatore sono state eliminate le prove d'esame, un assurdo privo di paralleli internazionali e spesso cavallo di Troia per operazioni poco limpide. E a giudicare saranno solo professori ordinari. Con il Dl si sono fatti passi da gigante verso la fine dei concorsi, anche grazie alla pioggia di critiche che lo ha accompagnato.nSorprende che con rarissime eccezioni, una è l’articolo di Daniele Checchi su lavoce.info, i commenti al recente decreto 180 sull’università si siano concentrati quasi solo sulle nuove regole relative a questa tornata di concorsi.

NOVITÀ NEI FINANZIAMENTI

Sorprende per due motivi. Innanzitutto, la vera novità contenuta nel decreto legge non sono le norme dei concorsi, che se non altro avranno il merito di far saltare una volta per sempre un sistema che da cinquanta anni tutti criticano. Bensì il fatto che per la prima volta in Italia una quota significativa delle risorse (7 per cento, e nelle Linee guida del ministro Gelmini è scritto che si salirà in tempi ragionevolmente rapidi al 30 per cento) venga attribuita alle università in funzione della valutazione dei loro risultati.

Questa è la vera novità. Perché di valutazione tutti parlano volentieri fino a quando non un centesimo dei fondi trasferiti dallo Stato dipende dai risultati, in primis quelli nella ricerca, e si può continuare tranquilli con bilanci basati sulla spesa storica, sul numero degli studenti, magari quelli attratti a frotte inventando corsi fantasiosi o offrendo sconti generosi sul numero di crediti necessari per laurearsi. Non appena si cominceranno a usare le classifiche del Civr, come lavoce.info chiede da mesi, e le università si accorgeranno quanto costa assumere somari, i concorsi non serviranno più.

E poi, se il precedente sistema di concorsi, che ora tutti criticano sostenendo che il Dl non migliora alcunché o addirittura è troppo timido, era così pessimo, perché nei dieci mesi trascorsi dal giorno in cui il ministro Mussi varò questa tornata nessuno ha mai detto niente? Buoni, buoni, zitti, zitti.

Il sistema dei concorsi si è ormai avvitato su se stesso. In cinquant’anni le abbiamo provate tutte: sorteggio puro; elezione seguita da sorteggio; sorteggio seguito da elezione; concorsi nazionali; concorsi locali. Rassegnati o felici a seconda dei casi, è giunto il momento di ripensare come le università italiane scelgono i propri docenti, magari con un po’ di concretezza in più e un po’ di ipocrisia in meno. Non è giocherellando con elezioni triple o doppie che si fanno passi avanti.

Le modifiche introdotte dal Dl 180 vanno prese per quello che sono: un tentativo, strettamente una tantum, di sparigliare giochi già fatti prima ancora che i posti venissero deliberati dalle facoltà e i candidati facessero domanda. Certo, sarebbe stato meglio, e anche più equo, riaprire i bandi, permettere ad altri candidati di partecipare, eliminare l’ignominia delle doppie idoneità. In un paese in cui l’ultima parola l’hanno i Tar è molto probabile che si sarebbe creato un contenzioso infinito.

Lasciar correre come se niente fosse, magari mentre si scriveva l’ennesima riforma illuminata che entrerà in vigore l’an del mai, avrebbe consentito a molti di poter concludere: “Anche questa volta ce l’abbiamo fatta, abbiamo portato a casa 6mila posti. Lascia che progettino nuove regole, tanto alla prossima tornata di concorsi questo ministro non ci sarà più”. È questo che si voleva?

Si dice che qualche candidato eccellente, per il quale era stata accuratamente organizzata una commissione altrettanto eccellente, ora rischia di non passare. Innanzitutto, se è davvero eccellente, forse vincerà ugualmente. E poi, non ribolle il sangue quando, per promuovere un ricercatore eccellente, si deve chiudere gli occhi su cento nefandezze?


NOVITÀ NEI CONCORSI

Il decreto legge ha introdotto due novità importanti, per ora in via sperimentale, che si spera verranno mantenute anche nel nuovo assetto a regime. Nei concorsi per ricercatore sono state eliminate le prove d’esame, un assurdo privo di paralleli internazionali, e spesso il cavallo di Troia per operazioni poco limpide. D’ora in poi verranno valutati solo i titoli: tesi di dottorato e pubblicazioni, così come si fa nel resto del mondo. Nessuna legge può impedire di fare senatore il proprio cavallo, ma almeno bisognerà mettere nero su bianco (e su internet) che il cavallo medesimo ha scritto opere eccelse.

In tutti i concorsi giudicheranno solo i professori ordinari, non certo per premiare i “baroni”, ma per evitare l’umiliante messa in scena con cui a ogni concorso si doveva andare in cerca di associati o ricercatori disposti a una comparsata che presentava evidenti segni di conflitto d’interesse, visto che nel mondo chiuso dei settori disciplinari, le loro sorti future dipendono proprio dagli stessi ordinari che organizzano i concorsi. Meglio che questi ultimi si prendano le loro responsabilità. Il tentativo di rimettere in discussione la norma è già in atto al Senato: si può solo sperare che il governo non ceda. Notate: non sono gli associati a voler entrare nelle commissioni, sono gli ordinari che li vogliono a tutti i costi.

Se ci sono problemi aritmetici nella soluzione prospettata dal Dl, problemi che sono in ogni caso dovuti all’assurdità di avere 370 settori disciplinari, molti dei quali minuscoli, si potrà porvi rimedio in sede di conversione del decreto. In sostanza occorre prevedere che ove il numero di docenti eleggibili è insufficiente, vi sia un sorteggio puro. Analogamente, sarà opportuno riconsiderare l’estensione delle regole dei concorsi per ricercatori a tempo indeterminato a quelli per ricercatori a tempo determinato per i quali conviene mantenere, almeno in alcune sedi, maggiore autonomia.

“The cumbersome concorso system does not need such tinkering, it needs to be abandoned”scrive un articolo di Nature che in questi giorni fa il giro delle nostre e-mail. Bene: io penso che con questo Dl abbiamo fatto passi da gigante verso la fine dei concorsi, anche grazie alla pioggia di critiche che lo ha accompagnato.

(da lavoce.info)

Lettera aperta al Ministro Gelmini

All'indirizzo http://www.mat.uniroma1.it/~procesi/lettera.html potrete leggere la lettera aperta, scritta dal prof. Claudio Procesi, Vicepresidente della International Mathematical Union in collaborazone con i professori Enrico Arbarello, Maurizio Cornalba, Kieran O'Grady ed i numerosi suggerimenti dei firmatari, sottoscritta da 451 ricercatori e docenti universitari.

Scrive il collega Procesi: La discussione seguita alla lettera ha portato alla nascita di un blog "Università e Ricerca" costruito da un gruppo di accademici http://blog.libero.it/uniproposte/nel quale si stà sviluppando una discussione serena e costruttiva. La speranza è di produrre un dibattito ampio e dei documenti finalizzati ad una profonda riforma dell'Università che desideriamo presentare pubblicamente all'Accademia dei Lincei. Altri colleghi e soci dell'Accademia si stanno già mobilitando perche' questo avvenga in tempi rapidi.

giovedì 27 novembre 2008

Per tutelare il merito, la Gelmini mette i concorsi nelle mani dei "baroni"

La ricerca scientifica è un elemento cardine per la crescita di un paese evoluto, ma in Italia non è una priorità. I fondi, già scarsi, sono diventati cronicamente insufficienti, a causa delle ultime penalizzanti finanziarie di tutti i governi e di una gestione poco congrua e estemporanea dell’esistente; si sottraggono centinaia di milioni di euro già destinati alla ricerca scientifica per darli all’Alitalia, per colmare il buco derivato dalla cancellazione dell’Ici o addirittura per salvare le banche.

Occorrono più finanziamenti per la ricerca, ma servono anche criteri seri e trasparenti per assegnarli. Per questo dobbiamo chiedere una seria valutazione del lavoro di ricercatori e docenti, insieme a nuovi meccanismi concorsuali basati su criteri internazionalmente riconosciuti; così si combattono i fenomeni di nepotismo e clientelismo. Se tutti i meccanismi concorsuali sperimentati finora hanno fallito, generando le aberrazioni nepotistiche e clientelari che vengono denunciate, è lecito pensare che ciò sia dipeso non tanto dai meccanismi stessi, quanto da chi li ha sempre gestiti, ovvero da quella parte dell’accademia dedita agli inciuci e fortemente legata al potere politico. Per bonificare il sistema, penso che i concorsi dovrebbero tornare a essere nazionali e prevedere commissioni composte da una massiccia presenza di esperti stranieri, non perchè più bravi o più belli, ma solo in quanto indipendenti e svincolati dalle lobbies politico-accademiche di casa nostra. Qualcosa di simile è stato proposto anche da Piergiorgio Oddifreddi, su “Repubblica” in un articolo intitolato “Docenti stranieri per salvare l’Università”. Dopo un decennio di tale pratica, avremmo una nuova generazione accademica in media eticamente e scientificamente migliore della precedente; a questo punto si potrebbe passare ad una fase successiva basata esclusivamente sulle chiamate dirette dei candidati da parte degli Atenei, con finanziamenti legati ai risultati.

Purtroppo nel recente decreto 180, l’aspetto più paradossale è che per rendere trasparenti i concorsi e tutelare il merito, il Ministro Gelmini ha messo tutto il potere decisionale nelle mani dei professori ordinari, proprio la categoria considerata ad alta densità di baronia, a detta della stessa Gelmini & co. Associati e ricercatori saranno esclusi dalle commissioni, perchè ritenuti troppo ricattabili, solo gli ordinari potranno farne parte in seguito al sorteggio tra rose di 12 membri scelti per votazione.

Pretendono che si creda alla seguente favoletta: ora che il potere decisionale è in mano ai soli ordinari, questi saranno responsabilizzati e finalmente si tutelerà il merito. Un’affermazione quasi fideistica, un paradosso o meglio un ossimoro! Al contrario, gli ordinari baroni saranno adesso anche più liberi di prima di spadroneggiare nelle commissioni e continueranno come sempre a tessere la tela del clientelismo. La prova di questo è data da molti concorsi per ordinario svolti fino a ieri; non credo si possa affermare che l’assenza degli associati dalle commissioni di quei concorsi abbia garantito un maggior tasso etico.

sabato 22 novembre 2008

La Ministra presciolosa fece i decreti ciechi, di Patrizo Dimitri

Inserisco un lungo commento di risposta ad un articolo fiume di Mario Pirani pubblicato il 21 novembre su "la Repubblica" .

Sono un professore associato di Genetica della Sapienza, vengo da una famiglia di artisti e non ho parenti nell’accademia, quello che ho ottenuto ho dovuto sudarmelo con il lavoro, come molti altri colleghi e forse ho ottenuto meno di quello che avrei meritato. Vorrei replicare all’articolo di Mario Pirani intitolato “Quanto costa al paese l’Università di parentopoli”, un pezzo che è più o meno è il clone “editorialmente modificato” de ”Le mille università dalle cattedre facili” apparso su Repubblica del 26 ottobre del 2007. Allora Pirani sosteneva che gli universitari protestavano solo perchè vedevano minacciati i loro privilegi, e metteva in evidenza lo sfascio della riforma dei corsi di laurea che ha generato inutili Atenei e nuove cattedre. Oggi Pirani parte dalla protesta degli studenti e sostanzialmente ribadisce un leitmotiv un po’ scontato: poveri studenti, non si accorgono di fare il gioco dei baroni e di aiutarli a conservare lo status quo, dovrebbero in realtà “rivendicare addirittura più tagli e non meno”. Niente di più sbagliato: i toni paternalistici di chi sa cosa sarebbe meglio per gli studenti fanno sorridere; gli studenti non sono robot nelle mani dei baroni, sanno quel che fanno e fanno quello in cui credono. Gerontocrazia vuol dire anche questo, pensare che i giovani siano sempre sprovveduti.

E’ vero, l’Università italiana ha sicuramente bisogno di una riforma organica, forse di una rivoluzione. Bisogna rivedere il 3+2, forse anche abolirlo, avendo il coraggio di tornare indietro. Bisogna attuare una seria riforma della docenza che consideri finalmente i ricercatori, una revisione del reclutamento e della progressione della carriera legate alla valutazione. Bisogna cancellare le aberrazioni delle lauree ottenute grazie ai crediti regalati, degli Atenei telematici o ad personam, come la Korè di Enna che ha un corpo docente quasi interamente composto da politici; tutti fenomeni a dire il vero proliferati nel precedente governo Berlusconi. Sono da condannare e da estirpare assenteismo, nepotismo e corruzione, metastasi da anni ormai radicate non solo nell’Università, ma ogni ambito della nostra società. Stupisce che sebbene questi fenomeni siano noti da tempo e denunciati da stampa e televisione, il potere e il delirio di onnipotenza dei soliti noti finora non sia stato intaccato di un millimetro, anzi. In un paese diverso dal nostro, sarebbero già partite delle inchieste giudiziarie, molte teste sarebbero cadute.

Detto questo, a mio parere Pirani non colpisce nel segno, oggi come nel 2007, quando attacca il mondo universitario in toto, senza differenziare, facendo di tutta l’erba un fascio. E’ come sostenere che tutti i giornalisti sono prezzolati, penne al servizio di questo o quel potente, che tutti i parlamentari sono dediti alla corruzione o che tutta la sanità è allo sfascio. Invece di pensare a demolire gli Atenei pubblici dipinti come covi di fannulloni e baroni, una stampa corretta e seria dovrebbe informare i lettori che il mondo universitario e della ricerca è eterogeneo, come sottolineato di recente anche dall’economista Tito Boeri ad Anno Zero. Esiste l’altra faccia degli Atenei, quella pulita che non fa notizia, fatta di gente (studenti, borsisti, ricercatori e docenti) che in scarsità di fondi da anni svolge didattica e ricerca ad alto livello, con serietà e passione. Gente che non vede l’ora di essere valutata con criteri seri e internazionalmente riconosciuti, perchè sa di avere tutte le carte in regola. Gente per cui la valutazione del lavoro scientifico è una prassi fisiologica, sperimentata ogni qualvolta invia un manoscritto con i risultati del proprio lavoro alle riviste internazionali che utilizzano il peer-review, il famoso giudizio dei pari, attualmente stravolto in Italia. Sparare nel mucchio, non discriminare tra i bravi e i nullafacenti, tra gli onesti e i corrotti è un’azione grave e scorretta che danneggia e svilisce proprio i migliori talenti, i cervelli che esistono e resistono in condizioni difficili nei nostri Atenei e che invece andrebbero sostenuti.

I problemi della ricerca in questo paese allo sbando non sono una novità, ma oggi la loro gravità è ulteriormente cresciuta, con conseguenze negative enormi sullo sviluppo culturale e tecnologico. In Italia, i fondi per la ricerca pubblica, già scarsi, sono ormai diventati cronicamente insufficienti, a causa delle ultime penalizzanti finanziarie di tutti i governi e di una gestione poco congrua e estemporanea dell’esistente; si rubano centinaia di milioni di euro già destinati alla ricerca scientifica pubblica per darli all’Alitalia, per colmare il buco derivato dalla cancellazione dell’Ici o addirittura per salvare le banche.

La ricerca scientifica è un elemento cardine per la crescita di un paese evoluto e per questo molti stati programmano in largo anticipo piani dettagliati di investimento e spendono per ricerca pubblica ingenti risorse e significative porzioni del PIL. La media europea è del 2%, i paesi scandinavi e il Giappone superano il 3% (la Finlandia arriva addirittura al 15%), la Germania è intorno al 2.5%, mentre l’Italia è una conclamata “Cenerentola” con un mediocre 0.9%. La drammaticità di questo dato è confermata anche da Renato Dulbecco, famoso genetista molecolare e premio Nobel, che ha recentemente dichiarato che “chi investe così poco in ricerca non può essere scientificamente competitivo né attirare a sé o trattenere i suoi ricercatori migliori”. Da noi, poi, i ricercatori sono pochi, circa 3 su un totale di mille occupati, rispetto alla media europea che è di 6 su mille, e mal pagati. Malgrado ciò, i nostri ricercatori sono al terzo posto tra i paesi del G8 per produttività scientifica (numero di pubblicazioni e brevetti in rapporto ai fondi ricevuti), quindi meriterebbero di avere maggiori opportunità di finanziamento.

Fanno bene gli studenti a protestare contro i tagli indiscriminati della legge 133, perché quei tagli non colpiranno affatto nepotisti e fannulloni, ma graveranno solo sulle spalle di chi studia e lavora. Nella legge 133, infatti, non c’è traccia di interventi che prevedono una valutazione seria e trasparente a favore del merito. Fanno bene gli studenti a protestare anche contro il recente decreto 180 del Ministro Gelmini. In quel decreto, infatti, le misure per identificare gli Atenei virtuosi a cui assegnare risorse (finanziamenti e posti) sono descritte da criteri solo accennati e quindi ancora da interpretare e sviluppare. Nel definire la virtù di un Atenei, i bilanci o il numero di docenti sembrano pesare più di ricerca e didattica, elementi che invece devono essere prioritari. Sarebbe, invece, più serio e ragionevole valutare direttamente Facoltà o Dipartimenti e incrementare o tagliare risorse a seconda della produttività scientifica e del livello della didattica. Inoltre, le “rivoluzionarie” modifiche del meccanismo di elezione dei commissari, apportate a concorsi già banditi e ora bloccati, prevedono che solo i professori ordinari vengano inclusi nelle commissioni, cosa che aumenterà il loro potere e non renderà certo più virtuosi i nepotisti. Inoltre, il frettoloso decreto crea un problema tecnico; in alcuni settori non sarà disponibile il numero di ordinari sufficiente per espletare il sorteggio dei commissari e si dovrà pescare nei settori affini, creando non poche complicazioni.

Se tutti meccanismi concorsuali sperimentati fino ad oggi, apparentemente innovativi, hanno generato le aberrazioni nepotistiche e clientelari che vengono denunciate, è ragionevole pensare che ciò sia dipeso non tanto dai meccanismi stessi, quanto da chi li ha pensati e gestiti fino ad oggi, ovvero da quella parte dell’accademia dedita agli inciuci e fortemente legata al potere politico. Ormai da anni sono convinto che i concorsi dovrebbero tornare ad essere nazionali e prevedere commissioni fatte da una massiccia componente di esperti internazionali, non perchè più bravi o più belli, ma solo in quanto indipendenti e svincolati dalle lobbies politico-accademiche. Qualcosa di simile è stato proposto anche dal collega Piergiorgio Oddifreddi, sempre su “Repubblica” in un articolo “Docenti stranieri per salvare l’Università”. Dopo un decennio di tale pratica, si potrebbe formare una nuova generazione accademica eticamente e scientificamente valida e passare anche alla chiamata diretta da parte degli Atenei con finanziamenti legati ai risultati.

Mariastella Gelmini è nata in provincia di Brescia e forse non conosce il detto laziale: “La ghiatta presciolosa fece li ghiattucci cèchi.”. Una vera riforma sull’Università, infatti, richiede tempo e pensiero, non può essere definita da decreti in stile “Bignami”, partoriti e approvati in tutta fretta: in questo modo si continueranno a generare errori, aberrazioni e mostruosità. Un vera riforma deve essere organica, condivisa e progettata dialogando anche con chi negli Atenei lavora e studia, al di là delle appartenenze a schieramenti politici o d’occasione, per definire i meccanismi virtuosi che vanno premiati e quelli perversi che devono essere scoraggiati. Bisogna mappare le sacche di inefficienza e corruzione e intervenire tagliandole o ridimensionandole con strumenti idonei. Per iniziare, si potrebbero utilizzare le valutazioni già prodotte dal Civr, ma anche mettere finalmente in moto l’agenzia di valutazione Anvur. Invece, questo governo, con tagli indiscriminati e misure improvvisate che penalizzano Università e Ricerca pubbliche, per ora sembra accanirsi solo contro la parte migliore degli Atenei: se non si cambia la strategia, fannulloni e nepotisti se la spasseranno indisturbati come sempre.

giovedì 20 novembre 2008

Altro che gavettone, di Patrizio Dimitri

Il 14 novembre scorso una marea di gente ha invaso Roma fino a Montecitorio per protestare contro i tagli indiscriminati a Università e Ricerca e per chiedere meccanismi di valutazione seri e trasparenti che premino il merito, non certo per difendere i privilegi dei baroni. Tra i detrattori, “Il Giornale” di Berlusconi ha definito l’Onda un banale gavettone, ma chi c’era sa che non è così. Si vuole sminuire un fenomeno importante con l’aiuto di opinionisti di regime che mistificano la realtà descrivendo gli studenti come idioti lobotomizzati o robot manovrati dai baroni: siamo in pieno oscurantismo, la verità è stravolta tutti i giorni.

Al contrario, ho visto molti docenti “risvegliarsi” da un torpore di anni, appassionarsi nelle assemblee, svolgere lezioni in piazza e unirsi alle proteste civili e fantasiose di studenti e precari, non certo per tornaconto personale. Il piano è ovvio: dividere il fronte compatto dell’Onda che ha radunato le diverse componenti universitarie e che spaventa il governo. E allora vai con le “ruspe della calunnia” a demolire tutti gli Atenei pubblici, descritti solo come covi di nullafacenti e nepotisti: una nenia che va avanti da mesi. Si tratta di un’azione scorretta e gravissima perchè colpisce e svilisce proprio la gente che lavora, i migliori talenti, i cervelli che esistono e resistono in condizioni difficili nei nostri Atenei (e non nella privata e patinata Università Bocconi), equiparandoli a fannulloni e baroni, che invece sono da sempre i loro avversari.

I “demolitori” e gli “ammazzabaroni” di parte quando sparano a zero sull'Università, dimenticano di citare i casi più scandalosi: gli atenei telematici del CEPU o quelli ad personam, come l’Università Korè di Enna, nati nel passato Governo Berlusconi, con la collaborazione di Letizia Moratti, allora Ministro del Miur. Il Rettore della Korè è Salvo Andò, che ha subito vari processi per tangenti e collusione mafiosa, poi assolto solo grazie alla prescrizione. In quell’università il corpo docenti, guarda caso è composto da molti politici ed è stata recentemente consegnata la "Laurea honoris causa" al Ministro Angelino Alfano. E poi ci vengono a fare la morale sulle clientele e le baronie?

Questo governo ha proprio un rapporto difficile con l’etica e la cultura. Lo conferma la recente nomina di Mario Resca, ex-direttore della McDonald’s Italia, a capo della "Direzione generale per i musei, le gallerie e la valorizzazione". Arte e hamburger? Un connubio indigesto o un gesto spontaneo in stile pop-art? Visto che l’arte è il cibo dello spirito, il Ministro dei Beni Culturali Bondi, avrà pensato che un manager della ristorazione di massa fosse la scelta migliore. Buon appetito!

venerdì 7 novembre 2008

Obama, l'abbronzatura del cavaliere e le bugie del Governo, di Patrizio Dimitri

Da mercoledì tutto il mondo commenta il trionfo di Barak Obama, primo afro-americano e di religione musulmana, eletto presidente degli USA. Una svolta epocale? Sì, ma i veri effetti non si vedranno subito, a parte un fuggente entusiasmo delle borse. Molti festeggiano, altri storcono il naso, altri ancora vanno ad arricchire la schiera degli “obamisti” dell’ultimo minuto. La Gelmini si è paragonata a Obama, arrivando all’assurdo di dire che anche lui ha lo stesso programma su scuola e università; dal discorso di Obama improntato sul dialogo e sulla tutela delle minoranze, il parallelismo sembra oscuro. Berlusconi confessa di aver tifato per il neo eletto, ma non aveva detto di essere un estimatore di Bush? Sulla scia di Obama, sembra che i curatori dell’immagine del cavaliere e dei suoi ministri abbiano suggerito loro di apparire in pubblico con la pelle un po’ più scura. Che nasca da qui la tremenda gaffe di Berlusconi sull’abbronzatura di Obama? Il cavaliere e la sua truppa potranno scegliere tra vari trattamenti: settimana bianca, lampada o fondo tinta. Attenzione, però, a evitare livelli melanici eccessivi, altrimenti rischieranno di essere presi di mira dai sottoprodotti nostrani del Ku Klux Klan o da picchiatori neri (anche loro, ma non per via della pelle), di recente molto disinibiti a Roma. Li abbiamo visti in tenuta da guerra liberi di fomentare scontri e picchiare ragazzini delle scuole medie, con la “benevolenza” di alcuni membri delle forze dell’ordine. Un gruppo di camerati ha anche compiuto una spedizione punitiva alla sede Rai di via Teulada a Roma contro la trasmissione “Chi l'ha visto”, rea di aver trasmesso gli scontri di Piazza Navona e dintorni.

A parte questi gravi episodi, si segnalano le solite incongruenze del Governo sull’Università. Berlusconi parla di apertura su Scuola e Università, ma viene subito smentito dal portavoce Bonaiuti. La Gelmini avverte che i concorsi universitari non saranno bloccati, ma poi impone senza discussione un decreto lampo che ferma concorsi già banditi, con domande gia' inviate e commissari quasi eletti, in attesa di nuove procedure che non muteranno affatto le stato delle cose Per i concorsi da Ordinario, ad esempio, rimaranno sempre 5 commissari estratti a sorte (?) tra una rosa di 12. E’ come se durante una partita di calcio, cambiassero le regole tra primo e secondo tempo. Si tratta di un’operazione discutibile e al limite della legalità, ma tutto fa brodo per congelare i concorsi e utilizzare il budget magari per salvare qualche banche e dei poveri amici finanzieri in affanno.

Nel decreto della Gelmini si parla tra l’altro di premialità, ma invece di una vera e sana valutazione basata su standard internazionali, i criteri prioritari per definire gli Atenei virtuosi a cui destinare le risorse saranno il bilancio e il rapporto docenti-studenti. Bel modo di distinguere tra fannulloni e gente che lavora! Facoltà e Dipartimenti con alta produttività scientifica ne faranno le spese, se appartenenti ad Atenei “poco virtuosi”: bell’esempio di meritocrazia al rovescio. Intanto “l’onda” cresce in attesa della manifestazione del 14 novembre.

sabato 1 novembre 2008

La nostra petizione contro i DL Tremonti (ora legge 133), a favore di una seria valutazione di università e ricerca ha raggunto quasi 6000 adesioni!

La petizione sta avendo un grande riscontro di adesioni! Ringraziamo tutti quelli che hanno firmato.

Chi non l'avesse ancora fatto può consultare il testo andando all'indirizzo web http://www.petitiononline.com/ricerca1/petition.html.

Diffondetela!

venerdì 31 ottobre 2008

Non linciate studenti e professori, di Patrizio Dimitri

La protesta contro i tagli a scuola, università e ricerca è sempre più forte e incisiva. Una protesta allegra e serena, di occupazioni, assemblee, petizioni e a manifestazioni imponenti come quella che ieri ha inondato pacificamente le strade di Roma. Si è arrivati anche al blocco della didattica; la Facoltà di Scienze della Sapienza ha sospeso lezioni e esami per una settimana, con una mozione approvata quasi all’unanimità. In tutta Italia proliferano anche le iniziative creative e divertenti. Oltre alle già citate lezioni all’aperto, domenica scorsa, studenti e docenti di Fisica e Chimica della Sapienza hanno intrattenuto centinai di bambini di scuola elementare e le loro famiglie, mostrando e spiegando esperimenti per le strade dell’Ateneo. Una bella iniziativa da elogiare.

Dispiace solo per gli scontri di Piazza Navona, avvenuti mentre si approvava il decreto Gelmini. I manifestanti sono stati aggrediti da provocatori di estrema destra, schierati e muniti di caschi e mazze tricolore . E’ stata incredibile l’indifferenza iniziale delle forze dell’ordine che, dai filmati trasmessi su "Anno Zero", dovevano conoscere il capo dei provocatori che a viso scoperto guidava la truppa . "Scontri provocati dalla sinistra" – ha avuto il coraggio di affermare oggi il governo.

Di parole in libertà e mistificazioni da parte del governo e della stampa di regime ce ne sono state molte nei giorni passati. La Gelmini si è paragonata addirittura a Barack Obama (lui lo saprà?), ha rifiutato il dialogo con gli studenti e ha definito la protesta come l’niziativa di pochi. Berlusconi, dalla Cina (con furore) criminalizza le occupazioni minacciando di far intervenire le forze dell'ordine". "Polizia negli atenei? Mai detto” - ribatte il giorno dopo. Poi denuncia i "facinorosi" manipolati da docenti, che hanno il supporto dei giornali. Ma non è lui ad avere il controllo quasi totale di stampa e televisioni? Su quotidiano “Libero”, quasi un ossimoro, Brunetta insiste: “sterile proteste di piazza dei bamboccioni ignoranti e dei baroni opportunisti che li usano. I rettori e i presidi devono chiamare la polizia”. Sempre su “Libero”, il “democratico” Feltri titola “Papponi in cattedra”, ledendo la dignità di tutta la categoria universitaria. Infine, Cossiga in un’intervista al “Quotidiano nazionale” usa frasi gravissime: “Le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale (gli studenti). Non arrestarli che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche i docenti che li fomentano”. Dichiarazioni coerenti con la sua passata attività di Ministro degli interni alla fine degli anni 70. Ricordate l’assassinio di Giorgiana Masi?

La Gelmini si paragona a Obama, Berlusconi vorrebbe essere Bush, Brunetta ha come modello Brontolo o Pisolo e Cossiga si ispira al peggior Pinochet. Ma che paese è mai questo? Se non cambia qualcosa, temo che tra poco nei nostri stadi non ci sarà posto solo per il pubblico…

sabato 25 ottobre 2008

"Tiremm innanz" dice la Gelmini agli studenti.

L'incontro tra Mariastella Gelmini e le delegazioni gli studenti si risolve in un nulla di fatto. Altro che dialogo: "Il decreto resta"- afferma soddisfatta la ministra. Persevera la Gelmini, anche lei insensibile, come tutto il governo, al dilagare della protesta nelle scuole e negli Atenei. Persevera, la ministra catapultata in pochi mesi nell'occhio del ciclone, la sconosciuta che obbedisce ai dettami di Tremonti. In realtà, infatti, il vero Ministro di Università e Ricerca è Tremonti, il fautore della legge 133 che ha deciso a tavolini i tagli indiscriminati che azzereranno università e ricerca, quei tagli che ora si vogliono contrabbandare per una riforma.

mercoledì 22 ottobre 2008

Aiutiamo i colleghi francesi, firmiamo la petizione per una moratoria delle valutazioni ANR et AERES.

Pubblico volentieri il testo che ho ricevuto dall'amico Bernard Jacq, direttore di ricerca del CNRS, uno dei principali esponenti del sito "Sauvons la recherche". Per firmare la petizione andare all'indirizzo http://www.sauvonslarecherche.fr/spip.php?article2176.

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Il testo che segue è un appello a smettere di subire in silenzio l’attuale politica del governo in materia di insegnamento superiore e ricerca. L’azione che proponiamo, una moratoria delle perizie / valutazioni / per l’ANR e l’AERES, mira a bloccare una politica che ci pare nefasta, realizzata attraverso strutture il cui modus operandi è contestabile. Questo non significa che rifiutiamo il principio della valutazione o del finanziamento di progetti di ricerca mediante valutazione : significa che ne abbiamo abbastanza del fatto che le nostre proposte non vengano prese in considerazione e che si metta in pericolo l’avvenire della ricerca e dell’insegnamento superiore nel nostro paese. Evidentemente non è necessario, per firmare quest’appello, essere d’accordo con l’insieme delle posizioni di SLR.


Moratoria delle perizie per l’ANR o l’AERES

La Francia sta vivendo una vera mutazione dell’organizzazione del suo sistema d’insegnamento superiore e di ricerca e dei valori che lo ispirano. Una parte crescente delle sue attività di ricerca si effettua su contratti a breve termine, facendo ricorso a personale precario. Le scelte scientifiche e pedagogiche sono sempre meno definite dagli addetti ai lavori (insegnanti-ricercatori, ricercatori, ingegneri). Quello che ormai prevale è l’utilità presunta di queste scelte, definita dai servizi del ministero, che fisseranno regolarmente nuovi obiettivi applicabili a tutti. La produzione e la trasmissione delle conoscenze sono intese a salvare l’economia e debbono ormai essere valutate e indirizzate a questo solo scopo. Per questo, la valutazione e la gestione della ricerca e dell’insegnamento superiore debbono essere fondate su degli indicatori semplificati al punto da diventare nefasti. Le fonti di finanziamento si moltiplicano e si parcellizzano ma rispondono tutte allo stesso modello, il che non fa che accrescere le incombenze di carattere amministrativo degli attori della ricerca accademica, senza peraltro offrire loro nessuna varietà nel tipo di progetto proponibile. Questo condurrà irrimediabilmente all’abbandono di numerose tematiche.

Questi cambiamenti vengono imposti senza che le indicazioni e gli allarmi espressi dalla comunità scientifica vengano tenuti in alcun conto. La priorità che il governo pretende di dare alla ricerca e all’insegnamento superiore si traduce nei fatti in una soppressione di 900 posti in questi settori, in uno stanziamento reale molto ridotto (cf Budget 2009 : le (la) sinistre de la recherche), e in un "piano Campus" che condurrà di fatto a un sotto-finanziamento delle università in molte regioni (Nord, Bretagna).

Questo nuovo modo di gestione del sistema di ricerca e insegnamento superiore si appoggia su due strutture recenti : l’ANR (Agence Nationale de la Recherche) e l’AERES (Agence d’Evaluation de la Recherche et de l’Enseignement Supérieur). La prima assorbe il grosso dei crediti della ricerca privando in questo modo università e grandi enti di ricerca dei loro mezzi, e quindi di ogni autonomia scientifica. Il risultato sarà un sistema destrutturato in cui non ci sarà più alcun solido intermediario (laboratori, istituti, luoghi propizi ad un’attività collettiva e interdisciplinare) fra il ministero e i singoli gruppi di ricerca. Questi ultimi saranno messi in competizione fra loro per contendersi i fondi pubblici. Soltanto i più grossi e meglio impiantati potranno cavarsela (esattamente lo stesso succederà col piano Campus, che finirà col limitare, se non distruggere, le piccole università, per quanto dinamiche esse siano). L’ANR è inoltre all’origine della proliferazione di posti precari che, di pari passo con la riduzione delle posizioni permanenti, crea una vera bomba a orologeria. Quanto all’AERES, i cui membri sono tutti nominati dal ministero, essa si sostituisce alle strutture collegiali di valutazione esistenti (CoNRS, CNU). Quale che sia la professionalità del lavoro effettuato dagli esperti, i loro rapporti passano successivamente attraverso une serie di filtri e riformulazioni poco trasparenti il cui risultato finale ha più di una volta stupito e scioccato coloro che erano oggetto della valutazione.

Nel mese di giugno 2008, in risposta a l’appello di SLR, 15 000 persone si sono impegnate a non assolvere più nessun compito che contribuirebbe a minare in breve tempo i fondamenti e l’avvenire dell’attività di ricerca, a meno che il governo non volesse tenere conto delle osservazioni e degli appelli che gli sono stati fatti. Il governo ha fatto le sue scelte e si è assunto le sue responsabilità. Noi ci assumiamo le nostre.

Ci rifiutiamo di contribuire a questa destrutturazione dell’’insegnamento superiore e della ricerca. Ci impegniamo dunque a rifiutare d’ora in avanti di fornire valutazioni per l’ANR o l’AERES, finché non ci saranno segni chiari di un cambiamento della politica del governo, che si traduca sia in un aumento degli stanziamenti sia nella creazione di posti permanenti (e non nella loro soppressione, cosa a cui si assiste attualmente).

Siamo in profondo disaccordo con la politica del governo nell’ambito della ricerca e della formazione e rifiutiamo di esserne complici. Difenderemo un’altra politica, che sia conforme agli interessi del nostro paese e alla nostra concezione della ricerca e dell’insegnamento.

Si ringrazia Ilaria Castellani di Sophia-Antipolis per la traduzione italiana del testo francese.

venerdì 3 ottobre 2008

Appello ai Rettori contro il DL Tremonti, ora legge 133.

I sottoscritti docenti di varie Facoltà e Università italiane protestano vibratamente contro i recenti provvedimenti governativi varati con la Legge 133 del 6 agosto 2008. Come già hanno denunciato molti Dipartimenti, Facoltà, gruppi di docenti, si tratta di misure che sottraggono risorse alla ricerca, riducono il personale docente e amministrativo, restringono lo spazio vitale dell'Università sancendone l'emarginazione irreversibile nella vita del Paese.

La riduzione al 20% del turnover delle unità del personale non significa soltanto uno sfoltimento senza precedenti di tante discipline specialistiche in cui la cultura italiana primeggia nel mondo. È tutto il processo di rinnovamento del corpo docente italiano - gravato da una anzianità elevata - ad essere compromesso per i decenni a venire. A tanti nostri valentissimi giovani l'avvenire nella ricerca e nell'insegnamento viene definitivamente precluso.
Il principio della convertibilità della Università in fondazioni private - sancito dall'art. 16 della Legge - costituisce senza dubbio il più grave attacco mai condotto contro l'autonomia e il futuro stesso dell'Università italiana. Non viene soltanto auspicata la ritirata dello Stato dalle sue funzioni storiche nel garantire la formazione superiore e la riproduzione delle sue classi dirigenti. È un progetto velleitario, imitazione tardiva di una stagione ideologica oggi in rovina nel Paese stesso in cui essa è nata. Trasporre l'esperienza delle Università private americane in Italia - un Paese nel quale lo Stato ha dovuto sostituire il capitale di rischio per realizzare lo sviluppo industriale - significa in realtà condannare tanto le Università pubbliche che private a un sicuro destino di irrilevanza. Con quali conseguenze per la collocazione dell'Italia nell'economia- mondo attuale è facile immaginare.

I docenti qui sottoscritti chiedono pertanto ai Magnifici Rettori di raccogliere il profondo disagio e la protesta che sale dalle Università e di reagire con l'energia che la gravità della situazione richiede, bloccando l'apertura del prossimo anno accademico in tutto il Paese. Si utilizzi la data di inaugurazione per una riflessione generale sul destino delle nostre università

Piero Bevilacqua, Università di Roma La Sapienza
Mario Alcaro, Università della Calabria
Raffaele Perrelli, Università della Calabria
Alberto Asor Rosa, Università di Roma La Sapienza
Gianni Vattimo, Università di Torino
Fulvio Tessitore, Università di Napoli,
Umberto Curi, Università di Padova
Giovanni Polara, Università di Napoli
Pietro Barcellona, Università di Catania
Francesco Benigno, Università di Teramo
Angelo D'Orsi, Università di Torino
Claudio Natoli, Università di Cagliari
Giorgio Inglese, Università di Roma La Sapienza
(2 ottobre 2008)


PER ADERIRE scrivere a giuseppecantarano@libero.it

lunedì 28 luglio 2008

Il sito francese "Sauvons la recherche" sostiene la nostra petizione contro il decreto Tremonti

Soutenons la pétition de nos collègues académiques transalpins contre une loi destructrice de la recherche et de l’université italiennes

Loi LRU, ANR ultra-élitiste et projet de démantèlement des EPST en France, Loi D.L. 112/08 en italie, les temps sont décidément durs pour la recherche et l’université en europe ! Signez et faites signer la pétition de nos collègues italiens contre un projet de loi qui est une attaque sans précédent contre leur système académique public.

sabato 26 luglio 2008

Prin 2007: anche questa volta per la valutazione dei progetti è stato adottato il null-review

Sono state finalmente rese note le liste dei progetti finanziati per il Prin 2007. Dopo tutte le critiche sollevate l’anno scorso, questa volta si attendevano delle valutazioni degne di tale nome, frutto di esperti scelti per l'attinenza ai progetti e di regole internazionalmente riconosciute. Invece, dopo ben 9 mesi dalla scadenza delle domande, è stato deprimente leggere dei giudizi tanto telegrafici quanto approssimativi, formule standard buone per ogni occasione. D'altronde cosa potevamo attenderci da un sistema di assegnazione che funziona a casaccio? Ricordate il caso del genetista umano scelto come revisore di un progetto di Ecologia marina? Altro che peer-review, si è trattato di un null-review, senza nulla togliere a chi è stato finanziato.

Petition to Prime Minister Silvio Berlusconi, Minister of Economy Giulio Tremonti and Minister of Education and Research Mariastella Gelmini

High education, research and innovation are pivotal elements to sustain
the growth and development of a country in a knowledge-based global
society. While Western and developing countries with which Italy is
supposed to compete are investing vast amounts of resources and
significant fractions of their NGP in these fields, the funds invested
in Italy, traditionally very low, have been reduced further and the
recent bill (D. L. 112/08) by the Minister of Economy Tremonti exacerbates
the situation. Specific articles in D. L. 112/08 impose indiscriminate
and heavy cuts that will have devastating effects on the public research
and higher education system, and hence on the scientific and
technological development of this country. Researchers in Italian
public universities and research institutions have had to work for years
under a chronic lack of funds.

The D. L 112/08 now goes beyond all limits. Some of the proposed measures, e.g.
the cut to the ordinary maintenance funds, as well as a substantial
block in staff recruitment and turnover, will rapidly paralyse the
system, preventing its growth and renewal, and cancelling all hopes for
an independent career for thousands of young researchers who will be
growingly forced to go working abroad. Article16 of the D.L. supposedly
offers the ‘liberty’ for Universities to convert into private Foundations; yet,
as presented, it is difficult to see how this remedy might be made
technically effective; on the contrary, it does mark a dramatic cultural
regression in this country by underscoring the Government’s unwillingness to invest
in the public research system. There is a serious risk that, under these
conditions, Italian universities will gradually turn into high
school-like structures, containers of poor and minimal teaching and
exam-making industries from which all scientific research will be expelled.

A first step towards cure and improvement should consider implementing a
serious, strict and transparent evaluation system, cutting unproductive
areas and hitting without hesitation areas of laziness and nepotism.
Instead, the D. L. 112/08, with its ‘linear’ cuts (i.e. , equal for
all), will penalize the best and most vital components in Universities
and research centers, who work, produce and study, albeit in tough
hardship. We are therefore faced with a real emergency and a mortal blow
to higher education and research in our country.

To avoid the danger that Italy irreparably drifts along an unstoppable
cultural, social and economic decline, we invite Minister Tremonti and
the Government to drastically revise the D. L. 112/08 articles
concerning the public university ad research system, and to introduce
reliable and internationally recognized evaluation procedures so as to
promote a true renewal and progress in the Italian system of university
and research.

Sincerely,

mercoledì 23 luglio 2008

Petizione a favore di ricerca e università pubbliche, contro i tagli di Tremonti

Al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, al Ministro Giulio Tremonti e al Ministro Mariastella Gelmini

L’alta formazione, la ricerca e l’innovazione sono gli elementi-cardine della crescita e dello sviluppo di un paese nella società globale della conoscenza. Mentre i nostri competitors europei e mondiali investono in questi settori ingenti risorse e significative percentuali del PIL, in Italia, i finanziamenti, già scarsi, si sono via via ridotti ed il D. L. 112/08 del Ministro Tremonti peggiora la situazione. Il D. L. contiene articoli che impongono tagli pesanti e indiscriminati, che avranno effetti devastanti su università e ricerca pubbliche, e per conseguenza sullo sviluppo culturale e tecnologico del paese.

Nelle università e negli enti di ricerca siamo costretti da anni a lavorare in cronica carenza di fondi. Con il D. L 112/08 si è superato ogni limite. Vengono infatti introdotte misure, come il taglio dei fondi di finanziamento ordinario e il sostanziale blocco del turnover, che causeranno rapidamente la paralisi, azzerando le possibilità di crescita e rinnovamento degli atenei e le speranze di carriera di giovani migliori, che saranno costretti – come già avviene – ad andare a lavorare per i nostri competitori. Inoltre, l’art. 16 del D.L, che offre la ‘libertà’ alle Università di trasformarsi in fondazioni, appare un rimedio tecnicamente ben poco efficace e segnala un forte regresso culturale del Paese nel dichiarare la propria indisponibilità a investire nel sistema pubblico. L’università italiana rischierà così di trasformarsi in uno pseudo-liceo, contenitore di una didattica povera e minimale, esamificio da cui la ricerca scientifica sarà espulsa, come un corpo estraneo.

Un primo passo verso il risanamento avrebbe dovuto prevedere l’attuazione di un sistema serio, severo e trasparente di valutazione per tagliare le sacche d’improduttività, colpendo senza esitazione fannulloni e nepotisti. Con il D. L. 112/08 ed i suoi tagli ‘lineari’ (ovvero uguali per tutti), invece, si penalizza la parte migliore degli Atenei e dei centri di ricerca, quella che lavora, produce e studia, pur tra mille difficoltà. Si tratta di una reale emergenza, un colpo mortale per la cultura, l’istruzione e la ricerca pubblica nel nostro paese.

Per evitare che l’Italia scivoli irrimediabilmente verso un inarrestabile declino culturale, sociale ed economico, invitiamo il Ministro Tremonti ed il Governo a rivedere drasticamente gli articoli del D. L. 112/08 che riguardano l’università, introducendo allo stesso tempo strumenti di valutazione affidabili e internazionalmente riconosciuti per intraprendere un vero risanamento del sistema italiano dell’università e della ricerca.

Si può aderire alla petizione andando all'indirizzo web http://www.petitiononline.com/ricerca1/petition.html

lunedì 14 luglio 2008

I tagli del decreto Tremonti: per protesta rischia di saltare il prossimo anno accademico.

Il premo nobel Mario Capecchi ha di recente detto che “senza ricerca scientifica viene meno lo sviluppo di un paese e si aggrava la crisi economica”. Ma il ministro Tremonti non è d’accordo e nel suo recente decreto legge ha infierito su ricerca e università pubbliche, con tagli pesanti e indiscriminati.

Per tappare il buco di denaro creato dalla populistica cancellazione dell’ICI e dal salvataggio dell’Alitalia, Tremonti saccheggia sadicamente le tasche già mezze vuote delle Università. Tagli drastici ai fondi per il funzionamento e per la ricerca, forte limitazione delle assunzioni, riduzione degli scatti stipendiali e privatizzazioni insensate: si tratta di misure che causeranno la paralisi, azzerando le possibilità di crescita e rinnovamento degli atenei e le speranze di carriera di giovani e meno giovani. Anche grazie all’incremento delle ore dedicate dai docenti alla didattica, l’università si trasformerà in uno pseudo-liceo, un contenitore di didattica, povera e minimale, un esamificio da cui la ricerca scientifica sarà espulsa, come u corpo estraneo. Le scellerate misure di Tremonti costringeranno, inoltre, gli atenei a triplicare le tasse d’iscrizione per rastrellare i fondi necessari alla sopravvivenza.

Il buon senso suggerirebbe di tagliare le sacche d’improduttività grazie ad una seria valutazione, ma Tremonti non colpisce fannulloni e nepotisti, non pota rami secchi, preferisce penalizzare la parte migliore degli Atenei, quella che lavora, produce e studia. Allo stesso tempo, elargisce finanziamenti ad personam ai centri “d’eccellenza” privati da lui stesso istituiti. Si tratta di una reale emergenza, il più violento e rozzo attacco mai sferrato contro la cultura, l’università e la ricerca pubblica nel nostro paese dal dopoguerra in poi. Un attacco che ha generato un malcontento dilagante: da Torino a Cagliari, da Firenze a Napoli, da Bologna all’Aquila, da Milano a Roma, da Venezia a Palermo, docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti organizzano assemblee e minacciano di bloccare l’apertura del prossimo anno accademico. Si penalizzeranno gli studenti? Sarebbero penalizzati comunque dall’aumento delle tasse universitarie e da servizi sempre più scadenti. Caro Tremonti, pensaci bene, si preannuncia un autunno davvero bollente.

sabato 5 luglio 2008

Tremonti prende ai poveri per dare ai ricchi

Mariastella Gelmini, Ministro di istruzione, università e ricerca, ha recentemente dichiarato che la distribuzione dei fondi alla ricerca e in parte anche la retribuzione dei ricercatori saranno basate sui risultati e quindi bisognerà adottare criteri di valutazione riconosciuti a livello internazionale. Bene, ma nel frattempo “Robin Hood” Tremonti, ministro dell'Economia e delle Finanze, scocca dal suo arco un decreto che contiene numerosi tagli indiscriminati che affosseranno definitivamente l’Università e la ricerca pubblica: scatti stipendiali degli universitari da biennali a triennali a parità d’importo; taglio del fondo di finanziamento ordinario (il denaro per stipendi e funzionamento degli Atenei); limitazione di assunzioni e concorsi; possibilità per le Università di diventare fondazioni di diritto privato, col rischio di devolvere patrimonio pubblico ai privati. Come se non bastasse, l’esito della valutazione dei progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin), una delle poche fonti di finanziamento pubblico per la ricerca di base, è congelato perché Tremonti ancora non sa dirci se ci sarà la copertura finanziaria.

Cara Gelmini, il suo collega dell’economia fa esattamente il contrario del prode Robin Hood, prende ai poveri per dare ai ricchi. Infatti, da una parte impone i tagli indiscriminati dei fondi destinati agli Atenei e alla ricerca pubblica per ottenerne lo smantellamento e dall’altra elargisce finanziamenti privilegiati e generosi ai cosiddetti “centri d’eccellenza” privati, alcuni già ben foraggiati dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Ad esempio, l'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, avrà ulteriori denari derivati dalle “dotazioni patrimoniali" della Fondazione IRI e sarà depositario esclusivo dei progetti di ricerca di eccellenza, non si sa bene in virtù di quali meriti. Perché tanta benevolenza nei confronti dell’IIT? Guarda caso l’IIT è stato istituito da Tremonti stesso nel precedente governo Berlusconi ed è presieduto dal direttore generale del Ministero dell'Economia e delle Finanze. Si tratta di un ennesimo caso di conflitto d’interessi e di un sistema di finanziamento agevolato e ad personam della ricerca privata, per giunta parallelo a quello del Miur. Cara Gelmini, c’è poco da stare allegri.

Patrizio Dimitri

domenica 29 giugno 2008

Giovani e vecchi nell'università italiana

Il famoso scrittore argentino Adolfo Bioy Casares, nel romanzo il “Diario della guerra al maiale” immagina che all’improvviso i giovani di Buenos Aires decidano di eliminare chiunque abbia superato i 50 anni, perché ormai ritenuto inutile alla società. E’ la cronaca fantastica e assurda di una “guerra civile” dove i giovani danno la caccia ai cinquantenni per sterminarli. Un metodo simile sarebbe forse apprezzato da chi va ripetendo in modo superficiale e ossessivo che bisogna svecchiare l’università italiana, perchè l’età media dei docenti supera i 50. Ironia a parte, il ricambio generazionale è un elemento fondamentale per lo sviluppo di un paese ed è doveroso garantire un futuro ai “giovani”, ma non bisogna dimenticare che certi “vecchi” sono ancora una risorsa preziosa di idee ed esperienza per tutti noi. Inoltre, in alcuni settori, bio-medici soprattutto, la piena maturità scientifica si raggiunge di solito a 40 anni suonati. Il punto, dunque, non è tanto “eliminare” i “vecchi” per fare spazio ai “giovani”, propugnando una sorta di razzismo anagrafico, quanto individuare e premiare il merito indipendentemente dall’età.

Purtroppo negli anni ‘80 i nostri Atenei sono stati ingolfati da migliaia di assunzioni facili, figlie dei famosi giudizi di idoneità. Molti “vecchi” di oggi sono proprio i “giovani” di ieri, reclutati con sanatorie decennali: un folle meccanismo “democratico” che ha annullato le differenze e oltre ai meritevoli hanno sistemato frotte di “cani e porci”. Chi è venuto dopo se l’è dovuta sudare. Una storia su tutte: quella di Mario Brambilla di Milano. Si laurea a pieni voti nel 1983 e nel 1986 è ammesso alla scuola di dottorato, dopo un blocco dei concorsi di ben 4 anni. Nel 1988 lavora per 12 mesi negli USA e nel 1989 ottiene il titolo di Dottore di ricerca. Nel 1990 vive ancora con i genitori e campa grazie alla collaborazione con un’industria che gli frutta un milione di lire al mese. Nel 1992 vince un concorso di ricercatore bandito nel suo settore dopo 10 anni di stasi. Il suo primo stipendio è di un milione e mezzo e preso dall’entusiasmo va vivere in affitto. Il 24 dicembre del 1994 gli si rompe un tubo del lavandino: Brambilla è costretto a chiamare il primo idraulico che trova per evitare di passare le vacanze natalizie in ammollo. Per due ore di lavoro, deve sborsare 500mila lire, un terzo della sua busta paga. Paga a malincuore e scaglia furibondi anatemi sull’idraulico approfittatore, tal Scorpetti. Alla fine degli anni ‘90, Brambilla partecipa a vari concorsi di professore associato, superando prove molto stressanti. Nel 1999 ottiene l’idoneità e nel 2001 prende servizio. A 50 anni, Brambilla fa didattica (lezioni, esercitazioni, tesi di laurea) e ricerca, pubblica su riviste di ottimo livello e ha una buona fama anche all’estero. Ma la cultura oggi non paga: il salario di Brambilla (2400 € mensili) è tra i più bassi d’Europa nella categoria e non gli basta per mantenere la famiglia. Ma c’è dell’altro: grazie ai “giovani” di ieri, assunti con le famigerate sanatorie, la progressione della sua carriera è a rischio per fare largo ai “giovani” di oggi. Che sfiga, povero Brambilla, se l’avesse saputo prima...

Brambilla giura che se rinasce farà il portaborse in parlamento (4000 € mensili), oppure il calciatore, anche modesto (50000 € mensili) o perché no, anche l’idraulico. Sarà un po’ meno acculturato, ma potrà mantere la sua famiglia senza tante angosce. E poi potrà comunque continuare a farsi chiamare dottore o professore anche senza esserlo, oggi lo fanno in tanti.

Le frecce di "equità" di Robin Hood-Tremonti.

Vorrei intervenire in merito a una lettera di Giancarlo Schirru, pubblicata su “Il Riformista del 28 giugno 2008, che affronta il problema drammatico dei tagli di Tremonti all’università e alla ricerca pubblica, inseriti nel Decreto-Legge 112/08 pubblicato sulla G.U. del 25 giugno 2008.

E' noto che molti stati investono ingenti risorse e significative porzioni del Pil nella ricerca pubblica, poiché essa è un elemento trainante dello lo sviluppo di un paese evoluto. I dati più recenti ci dicono che la media europea è del 2%. Tra i vari paesi la Svezia investe il 4%, la Finlandia il 3.5%, il Giappone il 3.2%, gli USA sono al 2.7%, la Germania il 2.5%, mentre è l’Italia è all’ultimo posto tra i paesi dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con solo l’1%. Da noi, inoltre, i ricercatori scarseggiano, circa 3 su mille occupati, rispetto alla media europea che è di 6 su mille. E sono anche mal pagati. Ricercatori e docenti italiani, infatti, hanno le retribuzioni più basse in Europa nella loro categoria. Un ricercatore neo-assunto (di solito dai 32 ai 40 anni) guadagna su per giù 1200 euro e solo dopo una decina d’anni può sperare di superare la vetta deis 2000. Per i professori le cose vanno un po’ meglio; a 50 anni un professore associato che svolge didattica e ricerca a tempo pieno e ha dedicato la sua vita allo studio, arriva a percepire più o meno 2400 euro. Al contrario, come ormai segnalato da tempo, le buste paga dei nostri parlamentari superano di molto quelle dei colleghi europei. Si parte da uno stipendio base di 11.703 euro che con rimborsi e indennità di vario genere può arrivare a circa 15mila euro netti al mese: più del doppio di un collega tedesco. E che dire, poi, dei portaborse dei parlamentari stessi (spesso reclutati guarda caso tra amici e familiari), che percepiscono ben 4000 euro mensili?

Questo è il panorama in cui s’inseriscono gli interventi di Robin- Hood –Tremonti, che con le sue “frecce di equità” finalmente darà il colpo di grazia agli atenei e alla ricerca pubblica nel nostro paese: invece di proporre meccanismi seri ed equi di contrattazione che incentivino e premino il merito, si agisce sugli scatti stipendiali degli universitari, che da gennaio 2009 passeranno da biennali a triennali, a parità d’importo, dando un’ulteriore sforbiciata alle già basse retribuzioni. Si attua il blocco del turn over dei docenti che limiterà fortemente e farà slittare assunzioni e concorsi. E come se non bastasse, si riduce ulteriormente il fondo di finanziamento ordinario, ovvero il denaro per il funzionamento degli Atenei (luce, acqua, elettricità, biblioteche, didattica, ecc), che sarà tagliato di 500 milioni di euro in tre anni. Insomma: tagli, sempre tagli, fortissimamente tagli! Infine, si stabilisce che le Università potranno diventare fondazioni di diritto privato, col rischio di devolvere gratuitamente patrimonio pubblico ai privati. Da una parte, il “chirurgo” Tremonti ripropone sadicamente i tagli dei fondi destinati agli Atenei e alla ricerca pubblica per ottenerne lo smantellamento, ma dall’altra elargisce finanziamenti preferenziali ai cosiddetti “centri di eccellenza” privati. Uno su tutti: l'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, che otterrà ulteriori fondi, derivati dalle “dotazioni patrimoniali" della Fondazione IRI e che sarà depositario esclusivo dei progetti di ricerca di eccellenza. Quanta grazia S. Antonio! Non a caso, l’IIT è una creatura di Tremonti, dal lui istituito nel precedente Governo Berlusconi ed è presieduto dal direttore generale del Ministero dell'Economia e delle Finanze: un ennesimo caso di conflitto di interessi ed un sistema parallelo di finanziamento della ricerca che ci sembra incomprensibile e poco funzionale.

Putroppo, il passato governo Prodi ed il Ministro Mussi non hanno brillato in quanto a interventi risolutivi a favore di università e ricerca. Nel nostro paese manca da sempre una politica seria, concreta e incisiva sui temi riguardanti università, istruzione e ricerca, altrimenti non saremmo conciati così male. Nei panni di Schirru, quindi, non mi sorprenderei affatto per il silenzio dei ministri ombra del Pd e non mi lambiccherei il cervello: si tratta solo di semplice indifferenza. Rientra tutto nel fisiologico canovaccio della nostra provinciale politicchetta italiana.

29 giugno 2008

Patrizio Dimitri

lunedì 23 giugno 2008

Università e Ricerca: tagli, sempre tagli, fortissimamente tagli! Chi dobbiamo ringraziare, Tremonti o Gelmini?

Inserisco volentieri un intervento del collega Marco Merafina che commenta un decreto legge del governo dove, tra l'altro, si introduce una forte limitazione al reclutamento delle Università. si riduce ulteriormente il fondo di finanziamento ordinario delle università e si prevede la trasformazione degli scatti biennali dei docenti universitari in scatti triennali a parità di importo. Di male in peggio!

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Cari colleghi,
dopo un periodo di silenzio mi vedo costretto a intervenire per comunicarvi un
grave atto del governo che, se portato a termine, interverrà pesantemente sullo
stato giuridico dei docenti universitari. Si tratta di un decreto legge
articolato (vedi in calce alcuni articoli, in particolare l'art.75) in cui, tra
gli altri provvedimenti, si prevede la trasformazione degli scatti biennali in
scatti triennali a parità di importo, con una perdita secca e definitiva del
33% di ogni scatto fino alla pensione. Tale passaggio, che a mio avviso
presenta profili di incostituzionalità, andando a incidere sullo sviluppo delle
retribuzioni fino alla pensione (ma su questo chiedo conforto degli esperti),
colpisce duramente le retribuzioni dei ricercatori, soprattutto i più giovani,
che devono maturare la maggior parte degli scatti da qui al termine della
carriera.
Si tratta di migliaia di euro in meno (basta fare un rapido calcolo) che
incidono su retribuzioni già scandalosamente basse. E dire che era ormai
opinione diffusa che le retribuzioni dei ricercatori fossero troppo basse
e da ritoccare verso l'alto! Qui si agisce in direzione opposta colpendo
soprattutto i più deboli, cambiando nei fatti lo stato giuridico senza una
legge specifica e per di più in corsa visto che non si riferirà ai nuovi
assunti, ma anche a coloro che già sono dentro l'università.
Non è accettabile cambiare le carte in tavola cambiando la curva retributiva
senza agire sui meccanismi di avanzamento di carriera, condannando le
retribuzioni più basse alla soglia di povertà.
Credo che a questo punto sia necessaria una risposta chiara e netta da parte
dei docenti universitari, soprattutto dei ricercatori che sono la parte più
colpita, fino ad arrivare alla mobilitazione negli atenei e, se necessario al
blocco delle attività didattiche.
Con queste premesse, peggiori del periodo Moratti, si rischia di avviare una
triste stagione per l'Università: dall'attacco all'istituzione si passa a un
vero e proprio attacco alle persone che vi lavorano con l'unico scopo di fare
cassa.
Se non ci muoviamo ora, quando?

Marco Merafina
Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari

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Dalla collega Antonella Ghignoli sulla lista UNILEX

L'art. 17 stabilisce la possibilità, per le Università, di trasformarsi in
Fondazioni di diritto privato; si badi bene, trasformarsi, non di costituire o
partecipare a Fondazioni. Di conseguenza, il patrimonio immobiliare degli
Atenei viene trasferito a dette Fondazioni. E' una norma che aliena patrimonio
pubblico a favore di soggetti privati. Inoltre, in quanto enti privati, le
Fondazioni sono svincolate dalle regole di bilancio e rendicontazione cui è
sottoposto il pubblico (ma continuano a percepire il finanziamento statale); il
personale tecnico-amministrativo resta nel contratto Università fino alla
scadenza del contratto vigente, poi si vedrà.

Art. 28. Sono soppressi tutti gli Enti di Ricerca con meno di 50 unità di
personale (ad esempio l'Ente Italiano della Montagna) e tutti gli enti anche
con più di 50 unità di personale che non siano stati individuati dai rispettivi
Ministeri vigilanti al fine della loro riconferma, riordino o trasformazione.
In sostanza, si procede ad un riordino di gran parte degli Enti di Ricerca in
assenza di un disegno politico complessivo. Le relative funzioni ed il
personale sono attribuite al Ministero vigilante.

Art. 30. Gli Enti di Ricerca Apat, Icram e Infs sono accorpati in un unico
nuovo Ente, l'IRPA, e diventano, nei fatti, organismi del Ministero
dell'Ambiente. Si prevede che per decreto vengano individuati gli organi di
gestione e le finalità del nuovo Istituto. Gli attuali organismi vengono
commissariati. Su questa decisione vi è stata una prima iniziativa di
protesta delle Organizzazioni sindacali davanti al Ministero dell'Ambiente.

L'articolo 72, nell'ambito di un taglio complessivo delle risorse destinate
alle stabilizzazioni e alle assunzioni nella Pubblica Amministrazione,
reintroduce una fortissima limitazione nel reclutamento delle Università.
Gli Atenei, dal 2003 fuori dal blocco delle assunzioni, per il triennio 2009
-2011 potranno assumere nei limiti del 20% dei pensionamenti e del 50% dal
2012. Contestualmente si riduce il fondo di finanziamento ordinario delle
università che subisce un taglio di 500 milioni di euro in tre anni. Per gli
Enti pubblici di ricerca sembrerebbero confermate le procedure in vigore dal
1° gennaio 2008. Le assunzioni per il triennio 2010-2012 avvengono nei
limiti del 80% della spesa complessiva e del 100% del turn over con un
peggioramento rispetto alle previsioni della finanziaria 2007. Infatti, il
turn over non è calcolato in relazione alla spesa risultante dai
pensionamenti ma sulle unità di personale. Ciò comporta una riduzione delle
opportunità di assumere in quanto, ad esempio, nel caso del pensionamento di
un ricercatore all'apice della carriera la differenza risultante tra il
costo complessivo e quello di una nuova assunzione andrà a beneficio di
finanza pubblica anziché essere utilizzato per il reclutamento.

L'art 73 interviene pesantemente sulla contrattazione integrativa nelle
Università e negli Enti di Ricerca limitandone le risorse disponibili.
Infatti, vengono congelate tutte le risorse, anche provenienti dal bilancio
proprio dell'Ente o dell'Ateneo, aggiuntive al fondo del salario accessorio
e che venivano utilizzate per compensare il tetto al fondo determinato dalla
legge finanziaria del 2006. Non solo, quel tetto viene ulteriormente ridotto
del 10% mettendo in discussione anche quote di salario ormai considerate
fisse e continuative. Le relative somme risparmiate vanno versate su un
capitolo specifico del bilancio dello Stato.

L'art. 75 contiene un bel cadeau per i docenti universitari e gli Atenei: dal
1° gennaio 2009 gli scatti biennali dei docenti, mantenendo lo stesso importo,
diventano triennali; si stirano, per così dire. I risparmi conseguenti per
le Università, quantificati, dal 2009 al 2013, rispettivamente in 40, 80,
80, 120 e 160 milioni, saranno versati in apposito fondo del Bilancio dello
Stato. Neppure una parvenza di motivazione, o di finalizzazione, almeno per
salvare la faccia. Un taglio e basta.

sabato 10 maggio 2008

Mariastella Gelmini, nuovo ministro di istruzione, università e ricerca: chi è costei?

Mariastella Gelmini è il nuovo ministro di istruzione, università e ricerca. Un volto veramente nuovo....anzi sconosciuto che dovrà cimentarsi con problematiche a lei ignote, temo. Nella storia di questo e di altri ministeri non è la prima volta.

mercoledì 26 marzo 2008

Manifesto-Appello in preparazione di un incontro sul futuro della ricerca.

MANIFESTO/APPELLO dell'Osservatorio sulla Ricerca
in preparazione dell'incontro del 7 aprile 2008 "Il futuro Ipotecato! Come se ne esce?"

La storia degli ultimi due decenni ci presenta uno scenario internazionale in cui le economie mondiali hanno spostato il baricentro verso prodotti e processi ad alto contenuto di conoscenza, di fatto rendendo di primaria importanza il ruolo della ricerca e dell’alta formazione.

Le risorse investite in questi settori in tutti i Paesi evoluti ma anche (e persino in misura maggiore) in quelli cosiddetti emergenti (India, Cina, Brasile, etc.) sono aumentate in modo esponenziale e danno conto di una tendenza allo sviluppo di qualità ormai non più controvertibile realizzando quella che viene definita l’Economia della Conoscenza.

Per questo in Italia, forse per la prima volta dall'Unità politica del 1860, il problema dell’alta formazione e della ricerca scientifica si presenta non solo strettamente ma anche inestricabilmente connesso con quello del rilancio della propria competitività economica. Da più di quindici anni tutti gli indicatori mostrano non solo una progressiva flessione dei livelli di crescita che, nella fase di trasformazione dell'Italia da paese agricolo a paese industriale, avevano ridotto il divario tra il nostro Paese e le altre nazioni industriali europee, ma addirittura prospettano una tendenza al declino che ogni anno porta l’Italia ad allontanarsi sempre più dagli altri paesi Europei (che pure non rappresentano la punta dello sviluppo mondiale).

Quale ruolo possono giocare in questo scenario i protagonisti dei settori interessati? Scienziati, ricercatori e intellettuali quanto devono sentirsi coinvolti, e in quale modo possono provare a contribuire al recupero del nostro Paese su questo versante tanto delicato per le prospettive future di tutti noi?

In altri periodi della sua storia l'Italia ha visto il contributo fattivo di alcuni dei suoi scienziati. Dopo l'Unità d’Italia, quando, per esempio, un gruppo di matematici contribuiva a creare la rete della struttura pubblica di ricerca oppure quando un matematico fondava il Politecnico di Milano. All'inizio del secolo scorso, quando una personalità di spicco come Vito Volterra, con una visione quanto mai attuale, delineava (assieme ad altri) la realizzazione di Istituzioni di Ricerca fortemente inserite nel contesto scientifico europeo e, allo stesso tempo, orientate e sensibili all’influenza e all’interconnessione con il mondo produttivo.

Analogamente, dopo i disastri della seconda guerra mondiale, scienziati come Edoardo Amaldi delineano un sistema ricerca moderno e aperto verso le ricadute di tipo produttivo.

Esperienze importanti che hanno avuto il merito di mantenere il nostro Paese a ridosso delle grandi nazioni europee nell’ambito dello sviluppo scientifico e delle sue applicazioni, ma che non sempre hanno trovato politiche rispondenti capaci di mettere a sistema le molte iniziative sparse.

Non è più tempo di politiche deboli nel settore della conoscenza. Il declino che oggi si intravede per il nostro Paese è figlio essenzialmente di questa incapacità di rendere prioritario un settore che in tutto il mondo è ormai riconosciuto come il settore strategico per eccellenza.

Non possono più bastare le iniziative dei singoli di valore e di buona volontà.

La politica deve assumersi tutta la responsabilità che le compete. E’ necessario che il Paese cambi il suo modello produttivo puntando sull'alta tecnologia e sostenendo tutti i settori che costituiscono la filiera che va dalla conoscenza di base alla produzione di innovazione.

Per questo è necessario uno sforzo di sistema in cui tutti gli attori si sentano coinvolti e indispensabili, incentivati a interagire e a concorrere. E tuttavia la parte preponderante tocca a chi ha la responsabilità di mettere in moto l’intero sistema.

Sul versante della scienza e della cultura è necessario che queste nuove politiche riconoscano che per produrre nuova conoscenza con il massimo di efficacia esistono alcune indispensabili e fondamentali regole di base. Per questo si devono concentrare energie per portare a compimento il modello che vede nell’indirizzo strategico il ruolo fondamentale della politica, nell’autonomia della ricerca la condizione essenziale per rendere al meglio il proprio straordinario contributo e nella valutazione terza la leva fondamentale per tenere il sistema in equilibrio e lontano dai rischi dell’autoreferenzialità e della inefficacia. E' su queste basi che anche il sistema complessivo dell'innovazione e dello sviluppo economico e sociale del Paese potrà disporre dei necessari fattori di competenze e di qualità.

In questo quadro, gli scienziati e i ricercatori italiani hanno il dovere di chiedere alle forze politiche che si apprestano alla sfida per il Governo del Paese un impegno convinto e irrinunciabile per portare la Nazione fuori dai rischi del declino e restituire alle nuove generazioni un futuro che a tutt’oggi appare ipotecato dalla miopia delle scelte che hanno relegato la conoscenza ai margini dello sviluppo.

Primi Firmatari:

Pablo Amati (Università di Roma "La Sapienza")
Aldo Amore Bonapasta (Istituto Struttura della Materia, ISM-CNR Roma)
Giorgio Bernardi (Stazione Zoologica Anton Dohrn, Napoli)
Carlo Bernardini (Università di Roma "La Sapienza")
Edoardo Boncinelli (Università Vita-Salute San Raffaele di Milano)
Sergio Bruno (Università di Roma "La Sapienza")
Marcello Buiatti (Università di Firenze)
Cristiano Castelfranchi (Università di Siena)
Elena Cattaneo (Università Statale di Milano)
Marcello De Cecco (Scuola Normale di Pisa)
Rino Falcone (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR, Roma)
Stefano Fantoni (SISSA Trieste)
Sergio Ferrari (ENEA - Roma)
Renato Funiciello (Università di Roma III)
Pietro Greco (SISSA Trieste)
Giovanna Grimaldi (Istituto di Genetica e Biofisica, CNR, Napoli)
Angelo Guerraggio (Università dell'Insubria - Varese)
Margherita Hack (Università di Trieste)
Francesco Lenci (Istituto di Biofisica, CNR, Pisa)
Giovanni Marchesini (Università di Padova)
Guido Martinotti (Università di Milano Bicocca)
Rita Levi Montalcini (Premio Nobel per la Medicina)
Lucio Luzzatto (Istituto Toscano Tumori, IIT - Firenze)
Pietro Nastasi (Università di Palermo)
Elisa Molinari (Università di Modena e Reggio Emilia)
Fabrizio Onida (Università Bocconi, Milano)
Giorgio Parisi (Università di Roma "La Sapienza)
Franco Pacini (Università di Firenze)
Giulio Peruzzi (Università di Padova)
Caterina Petrillo (Università di Perugia)
Settimo Termini (Istituto di Cibernetica "E. Caianiello", CNR, Napoli)
Guglielmo Tino (Università di Firenze)
Glauco Tocchini-Valentini (Istituto di Biologia Cellulare, CNR Roma)
Carlo Umiltà (Università di Padova)
Giorgio Vallortigara (Università di Trento)

sabato 22 marzo 2008

Un comunicato del sindacato FLC sulla bocciatura del regolamento per il reclutamento dei ricercatori universitari.

La Corte dei Conti ha bocciato il Regolamento per il reclutamento dei ricercatori universitari, il cui iter era in corso da un anno, e che doveva consentire l'utilizzo delle risorse stanziate dalla Finanziaria 2007 (20+40+80 milioni di Euro per il 2007-08-09) per l'assunzione di giovani ricercatori.

Si tratta di un fatto gravissimo, che azzera due anni di lavoro, di attese ed un processo avviato, certamente ancora insufficiente, ma che doveva aprire la strada al reclutamento straordinario. Per effetto di questo pronunciamento siamo tornati a due anni fa, ad una leva di giovani ricercatori che ora può solo affidare le sue speranze alle risorse ridotte di cui gli Atenei dispongono per il reclutamento ordinario.
Gli effetti della bocciatura, infatti, rendono impossibile avviare i concorsi con il nuovo modello, con il risultato di congelare le risorse stanziate.

Come si ricorderà, ad ottobre un decreto aveva spostato al 2008 le risorse previste per il 2007, proprio perchè il Regolamento ancora non c'era, e questo avrebbe consentito di utilizzarle, seppure in ritardo.

A seguito dell'approvazione del decreto "Milleproroghe", altro pasticcio parlamentare, il termine per i bandi dei concorsi della prima tranche da 20 milioni, quella del 2007, è stato fissato al 1° marzo. Il caos normativo e la totale incertezza su tempi e modalità dei bandi ha fatto sì che gran parte delle Università non facessero in tempo ad emettere i bandi. In extremis, nella giornata di ieri, una comunicazione del Ministro Mussi chiarisce che "i posti di ricercatore di cui al piano straordinario sono da coprire con concorsi banditi entro il 30 giugno 2008". Se così fosse, si salverebbe almeno la prima tranche da 20 milioni, da effettuarsi secondo le vecchie regole concorsuali, ma il resto degli stanziamenti è a questo punto affidato ad un provvedimento del prossimo Governo, che dovrà decidere se, come e quando i concorsi straordinari si debbono fare.

Come si vede, un disastro normativo che induce a serie riflessioni sul come e perchè. C'è una grave responsabilità politica del MUR: errori, non governo dei processi, ritardi, confusione negli obiettivi e nei percorsi.
Vedremo poi le motivazioni della Corte dei Conti, che, secondo il ruolo, dovrebbero attenere ad aspetti ben delimitati.
Ma c'è visibilmente una serie di considerazioni di quadro che saldano in una responsabilità collettiva gli attori istituzionali del sistema; perchè è così difficile cambiare le cose? Quali interessi ed alleanze perverse si sommano per paralizzare ciò che in un Paese normale richiede tre mesi e un po' di buon senso? Perchè non si possono mai fare in Parlamento buone norme sull'Università? E perchè gli organi di controllo e gestione dell'Amministrazione spesso si fanno essi stessi politica, spingendosi ad indicare modelli e soluzioni, anzichè vigilare sulla correttezza delle norme, sia generali sia di spesa?

Emerge in modo fastidioso e non rimuovibile la sensazione di autorappresentanze di interessi che attraversano le istituzioni, volte solo alla tutela dell'esistente.

Contro questi poteri non c'è difesa, a meno che la comunità universitaria, in tutte le sue componenti, non trovi dentro di sè la forza e la convinzione di dire basta alle forze che per le ragioni più diverse portano la responsabilità del declino delle nostre istituzioni.

Roma, 13 marzo 2008

giovedì 20 marzo 2008

Sull'assegnazione dei progetti Prin 2007 ai revisori: molti dubbi e poche certezze, di Patrizio Dimitri.

Come tutti sappiamo, i pochi fondi destinati alla ricerca scientifica pubblica in Italia sono distribuiti malamente. Urgono criteri di valutazione oggettivi, basati qualità e risultati e non su familismo, clientele e inciuci. Il problema critico della valutazione della ricerca scientifica è al centro di un appello inviato di recente al Presidente della Repubblica e firmato da centinaia di ricercatori (http://www.consorzioprogen.it/).

E proprio mentre l’appello è in corso cresce la preoccupazione di tutti noi per l’attuale gestione della valutazione dei progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin) 2007, una delle poche fonti di finanziamento pubblico per la ricerca di base, senza la quale molti laboratori non possono sopravvivere. In un momento di grande ottimismo, l’entourage del Ministro Mussi ipotizzò che le procedure di valutazione si sarebbero dovute concludere entro gennaio 2008. E' sconfortante notare come alla fine di febbraio 2008 il Ministero abbia solo iniziato la delicata fase di assegnazione dei progetti ai valutatori. Ed è qui che casca l’asino: abbiamo notizia di vari casi di assegnazioni clamorosamente sbagliate. Ad esempio, un professore di Genetica umana ha ricevuto un progetto di Ecologia marina da valutare, ma essendo persona seria, ha subito rispedito il "pacchetto" al mittente perché non era di sua competenza. Un caso paradossale, un termometro che segnala evidenti disfunzioni. E’ come se affidaste la revisione della vostra automobile ad un carrozziere. O se per dirigere una partita di calcio fosse scelto un arbitro di pallacanestro. Così si corre il serio rischio di avere valutazioni falsate perché affidate a valutatori poco competenti, o perché manovrate grazie ad assegnazioni addomesticate.

Con quale criterio la commissione di garanzia preposta a controllare l’esito delle procedure di valutazione decide l’assegnazione dei progetti? Come è possibile che un progetto di Ecologia marina finisca ad un genetista umano? La scelta dei valutatori non dovrebbe ricadere su nominativi di esperti scelti in un database precostituito e assegnati al progetto in base alle loro competenze? Chi è responsabile di questi errori (orrori) così marchiani?

Mi auguro che si possa intervenire per correggere le eventuali disfunzioni dei burocrati del Ministero, prima che sia troppo tardi e invito tutti quelli che hanno ricevuto progetti “alieni” alle loro competenze a rifiutarli (se già non lo hanno fatto) e a segnalarmi questi ed altri problemi, in modo tale da poter costruire una sorta di elenco delle disfunzioni del Prin 2007.

domenica 16 marzo 2008

Il nuovo regolamento per il reclutamento dei ricercatori universitari bocciato dalla Corte dei Conti:che succederà adesso?

La Corte dei Conti ha bocciato per la seconda volta il nuovo regolamento per il reclutamento dei ricercatori universitari. Per modificare il vecchio regolamento definito dalla legge Berlinguer del 1999, secondo la Corte dei Conti ci vuole un'altra legge, non basta un decreto del Ministro, che formalmente scavalcherebbe il Parlamento. In precedenza, alla Camera era stato approvato un emendamento al decreto milleproroghe che bloccava tutti i concorsi per ricercatore in attesa delle nuove regole; ora l'atto della Corte dei Conti di fatto rende questo blocco una totale paralisi, perchè a questo punto non è dato sapere se e quando il nuovo regolamento vedrà la luce.

Ma c'è anche il sospetto che la rigidità della Corte dei Conti sia il frutto delle "spinte" di quelli che non vogliono cambiare le vecchie regole. Nelle nuove regole veniva introdotto un primo livello di valutazione, esterno agli Atenei, condotto da una commissione di valutatori anonimi, due dei quali stranieri. La presenza degli esperti stranieri è fondamentale se si vuole una valutazione più seria e indipendente di ricercatori, docenti e progetti di ricerca. Questo sicuramente non è piaciuto ad una buona fetta di accademici potenti, dediti a familismo e clientelismo, molti dei quali siedono anche in Parlamento o hanno in quella sede potenti agganci. A mio parere, comunque, la commissione esterna di valutatori anonimi introdotta nel nuovo regolamento apportava solo un debole filtro, facilmente aggirabile dagli esperti dell'inciucio nostrano.

Sta di fatto che dopo il ritardo dei Prin 2007, dopo i problemi incontrati anche dai decreti di istituzione dell'Anvur, la famosa agenzia di valutazione che ancora non esiste, dopo i tagli alla finanziaria, si tratta dell'ennesimo fallimento delle riforme sbandierate dal Ministro Mussi e dai suoi collaboratori. A questo punto sarebbe lecito attendersi almeno una seria autocritica.

Invece Mussi dice; È molto grave che la Corte dei Conti blocchi il regolamento per l'assunzione dei ricercatori universitari». Il regolamento «è innovativo, adeguato agli standard internazionali, ha già ricevuto il plauso della grande maggioranza della comunità scientifica». «Il regolamento aveva già passato positivamente la verifica di legittimità del Consiglio di Stato, e non presentava alcun problema di copertura finanziaria. Il danno, per l'Università italiana e per i giovani che intendono dedicarsi alla ricerca, è pesante. Ma quali sono gli esatti poteri della Corte dei Conti? Con atti così non si esce dai limiti?». «Aspetterò - conclude - di conoscere le motivazioni per decidere sugli atti successivi».


Per saperne di più andate su http://www.cipur.it/

mercoledì 13 febbraio 2008

L'ennesima beffa dei Prin 2007: i progetti non sono stati ancora inviati ai revisori. Errore, o meglio, orrore tecnico!

Come avevamo già capito da varie settimane, dopo quasi 4 mesi dalla scadenza delle domande, la commissione non ha ancora inviato ai revisori i progetti in valutazione. Il motivo? Secondo l'ultimo comunicato del CUN, si tratterebbe di "problemi tecnici" nell'uso della banca dati dei revisori. Altri problemi tecnici! Qualcuno potrebbe essere così cortese da spiegarci di quali probelmi tecnici si parla? E di chi sono le responsabilità?

Nel corso della legilslatura, problemi tecnici e sviste burocratiche hanno costellato il percorso di tutte le azioni svolte dal Ministero dell'Università e della Ricerca, anche le più semplici. Tutti sapevano che l'anagrafe dei revisori Prin era il punto critico. Sembra, infatti, che la vecchia lista costruita nel tempo da Jacopo Meldolesi e comprendente anche gli staranieri sia andata perduta. Cosa esattamente è successo? So per certo che alcuni colleghi sono stati contattati a novembre per saggiare la loro disponibilità ad esaminare i progetti. Sono stati poi ricontattati a dicembre e messi in stato di allerta. Cosa è succeso dopo? I bagordi di Natale e Capodanno hanno forse obnubilato le menti già annebbiate dei tanti burocrati ministeriali? Purtroppo, sono loroi veri "padroni" del Ministero, quelli che rimangono sempre a galla, mentre i governi cadono e i ministri cambiano con le stagioni. Che pena!

Come si legge nella nota del CUN, "con ogni probabilità i referee riceveranno i progetti dopo il 20 febbraio, data della prossima riunione della commissione". C'è da crederci o dobbiamo attenderci qualche altro errore, o meglio, orrore tecnico.

L'ultima beffa: per "mero errore materiale" i concorsi da ricercatore sono azzerati

Pubblico di seguito un comunicato ricevuto oggi dall'ANDU - Associazione Nazionale Docenti Universitari.


La nota ministeriale datata 5 febbraio 2008 chiariva che per i concorsi a
ricercatore, sia quelli "cofinanziati" che quelli su fondi interamente di
ateneo, si potevano "emanare i relativi bandi di reclutamento nel termine
perentorio del 31 marzo 2008". Per tutti questi concorsi si sarebbero
dovute applicare le "procedure" della "legge 3 luglio 1998, n. 210" (Legge
Berlinguer). Per il testo di questa nota:
http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0015Atti_M/6872Elezio.htm

Alla suddetta nota e' seguita quella datata 8 febbraio 2008 (qui sotto
riportata) che invece "precisa che, per mero errore materiale, al quarto
periodo della nota stessa il termine del "31 marzo 2008", riferito alle
procedure ordinarie di reclutamento dei ricercatori, va sostituito con il
termine del "7 dicembre 2007". In altri termini, si 'chiarisce' che i
concorsi su fondi interamente di ateneo sono (erano) 'bandibili' solo entro
il "7 dicembre 2007", data di emanazione (non di entrata in vigore!) del
nuovo Regolamento dei concorsi a ricercatore. Regolamento ancora non
entrato in vigore perche' non ha terminato il suo iter e, quindi, non e'
stato ancora pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Insomma dal 7 dicembre 2007 non e' (era) piu' possibile, fino all'entrata
in vigore delle nuove procedure, bandire nuovi posti a ricercatore su fondi
interamente di ateneo. Insomma un vero e proprio blocco dei concorsi a
ricercatore (altro che integrazione straodinaria di quelli 'ordinari'!),
mentre sono stati nel frattempo sbloccati i concorsi a ordinario e ad
associato.
Se nel frattempo non dovesse entrare in vigore il nuovo Regolamento,
risulterebbero non 'bandibili' anche i posti cofinanziati previsti per il
2008 e per il 2009.

Siamo di fronte all'ennesimo pasticcio sulla pelle dei diretti interessati
e degli Atenei prodotto da quegli 'apprendisti stregoni' che da decenni
sono impegnati a massacrare l'Universita' statale.
Un gruppo accademico-politico che da mesi sta 'impazzando' sotto la
'copertura' di un Ministro parolaio. Un Ministro che da mesi rifiuta di
confrontarsi con le Organizzazioni rappresentative della docenza, confronto
che avrebbe forse potuto risparmiare all'Universita' almeno una parte dei
tanti danni che le sono stati arrecati.
E c'e' da temere per quello che di ancor peggio potranno fare al Ministero
e in Parlamento (in sede di conversione del decreto-legge "milleproroghe")
in un periodo che, come quello attuale, e' 'esposto' alle decisioni
dell'ultima ora.

13 febbraio 2008

mercoledì 6 febbraio 2008

Le critiche della CRUI sulla finanziaria e sul decreto mille proroghe.

La Giunta della CRUI, presa visione del combinato tra la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e il DL 31 dicembre 2007, n. 248 Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria, cosiddetto decreto mille proroghe, ribadisce le forti critiche già espresse nel comunicato del 14 dicembre 2007.

I tagli inopinatamente introdotti con il maxiemendamento vanificano la possibilità di dar corso a qualsivoglia patto per l’Università.

Tenuto conto infatti di tali tagli, della mancanza del finanziamento per l’edilizia, degli oneri per gli incrementi stipendiali, il Fondo incrementale di 550 ml di euro, al netto del riallineamento tra il 2007 e 2008, si è letteralmente volatilizzato e il saldo finale diventa addirittura negativo.

La CRUI esprime il più vivo sconcerto e la più profonda preoccupazione e chiede al Governo se e in che misura si intendano ancora rispettare i tanti impegni e proclami nei confronti della ricerca e dello sviluppo manifestati nel corso di questi ultimi mesi.

venerdì 1 febbraio 2008

CNR: Ratificata la nomina a presidente di Maiani

RICERCA: CNR; CONSIGLIO MINISTRI RATIFICA PRESIDENZA MAIANI

(ANSA) - ROMA, 1 FEB - La nomina del fisico Luciano Maiani a presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e' stata ratificata oggi dal Consiglio dei ministri. Manca adesso soltanto l'ultimo passaggio formale, la registrazione da parte della Corte dei Conti, per completare l'iter della nomina. L'insediamento ufficiale di Maiani alla presidenza del Cnr e' previsto entro il mese.

giovedì 31 gennaio 2008

Sempre sul "caso" del Papa alla Sapienza, un bell'articolo di Stefano Rodotà.

I PRINCIPI DEL DISCORSO PUBBLICO
Repubblica, 22 gennaio 2008

L´analisi delle vicende complesse, dunque l´esercizio della virtù della riflessione e della distinzione, diviene sempre più difficile. Questa difficoltà è cresciuta nel caso della visita del Papa all´università “La Sapienza”. Senza ricorrere alla parola “laicità”, e ricordando anche argomentazioni già proposte, vorrei sottolineare quali dovrebbero essere i principi di un discorso pubblico in una società che vuol essere democratica.
Per cominciare. Il furore polemico ha abusato di due argomenti, che chiamerò volterriano e iran-americano. Ridotta a slogan o a giaculatoria, è stata ripetuta la nota massima di Voltaire – «non condivido le tue idee, ma mi batterò perché tu possa manifestarle» (su questo ha scritto bene Giovanni Valentini). Ma, se durante una delle settimanali udienze del Papa uno dei partecipanti alza la mano, pretende di tenere un discorso e viene giustamente invitato a tacere, il canone volterriano è violato? Se, all´apertura di un congresso di partito, subito dopo la relazione del segretario, il leader di un altro partito pretende di parlare e giustamente gli viene negata la parola, siamo di fronte alla censura, all´imposizione di un bavaglio? Faccio queste domande, retoriche, non per ridimensionare la portata del principio indicato da Voltaire, ma per ricordare che si deve sempre tenere conto del contesto e, soprattutto, che quel principio non può essere applicato selettivamente. Non ci si può battere per il diritto di parola di Benedetto XVI e negarlo a Marcello Cini e Carlo Bernardini. La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio di parità.
Veniamo all´altro argomento. Più d´uno, per mostrare l´inaccettabilità delle pretese dei critici dell´invito al Papa, ha voluto ricordare che la Columbia University ha addirittura invitato il Presidente iraniano Ahmadinejad. Si può invitare un dittatore, un negatore dell´Olocausto, e non il Pontefice? Vediamo come sono andati i fatti. All´annuncio della visita sono partite molte critiche accademiche e una forte protesta degli studenti. Prima di dar la parola ad Ahmadinejad il presidente dell´università, Lee Bollinger, ha criticato con estrema durezza, al limite della maleducazione, le sue idee e posizioni. Dopo il discorso del Presidente iraniano, i presenti gli hanno rivolto molte domande ed hanno commentato anche pesantemente le sue risposte. Quel che è accaduto a New York, dunque, prova esattamente il contrario di quel che sostenevano quanti hanno richiamato quel fatto. L´università si fonda, in ogni momento, sul confronto e sul dialogo. La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio della veritiera descrizione dei fatti.
Proprio in omaggio a questo principio, bisogna ricordare che, pur essendo vero che alcune decisioni universitarie sono di competenza del Rettore e del Senato accademico, questo non vuol dire affatto che queste decisioni non possano essere oggetto di pubblica critica da parte di ogni professore o studente, né che la loro libertà di critica sia limitata alla scelta di non partecipare all´evento sgradito. L´università non è una organizzazione rigidamente gerarchica, né il Rettore è assistito dal privilegio dell´infallibilità. Peraltro, proprio la storia recente delle inaugurazioni dell´anno accademico alla Sapienza conosce critiche e contestazioni, in qualche caso accolte, agli inviti che si aveva in mente di fare. Non è esclusa la possibilità di invitare qualcuno a parlare senza contraddittorio, ma è indispensabile valutare attentamente le conseguenze di questa scelta. La correttezza del discorso pubblico esige che ogni vicenda venga valutata nel preciso contesto in cui si è svolta.
È rivelatore, peraltro, il modo in cui sono stati giudicati i 67 professori firmatari della lettera al Rettore, con la quale veniva chiesta le revoca dell´invito a Benedetto XVI. Sono stati definiti “professorucoli”, si è detto che «i ragli degli asini non arrivano in cielo». La libertà accademica e la libertà di manifestazione del pensiero, dunque, dovrebbero arrestarsi di fronte al principio di autorità? Quale “licenza de li superiori” sarebbe necessaria per ottenere il permesso di parlare di chi sta in alto? La correttezza del discorso pubblico esige il rispetto del principio che tutti possano parteciparvi.
La critica ai professori firmatari della lettera e alle posizioni estreme di alcuni gruppi di studenti ha poi assunto toni dichiaratamente politici ed ha determinato anche ulteriori travisamenti della realtà. Si è descritto quel che è accaduto con parole come “veto”, “censura”, “cacciata”, “bavaglio”. Non insisto sul dato formale, ma tutt´altro che irrilevante, di una decisione presa in assoluta autonomia dal Papa, di cui non discuto motivazioni e finalità. Ma non si può chiedere ai firmatari di uniformarsi ad un principio di “opportunità” che, come ben vediamo in molti settori a cominciare da quello dei mezzi d´informazione, può facilmente diventare autocensura. La democrazia si nutre di opinioni non solo diverse, ma anche sgradevoli, delle quali si può ben discutere il merito, ma di cui non si può negare la legittimità. E le posizioni degli studenti devono essere giudicate con lo stesso metro, eccezion fatta per gli aspetti di ordine pubblico, peraltro ritenuti tali da non provocare preoccupazioni, secondo le dichiarazioni del ministro dell´Interno. Comunque, gli aspetti politici della vicenda devono essere analizzati con criteri anch´essi politici. La correttezza del discorso pubblico esige che non si mescolino i piani delle valutazioni.
La politica, allora. È indubitabile, ormai, che non tanto la linea scelta dal Pontefice, quanto i concreti modi di attuarla, vadano ben al di là della dimensione pastorale e teologica. Il Pontefice si comporta ed è percepito come un leader politico. Questa non è una conclusione malevola. Basta ricordare una sola vicenda, quella legata al duro intervento del Papa sulle condizioni di Roma in occasione dell´udienza concessa ai rappresentanti degli enti locali del Lazio. Quelle dichiarazioni hanno determinato una trattativa “diplomatica” che, in linea con le peggiori abitudini della politica italiana, ha poi portato a denunciare le “strumentalizzazioni” e le “deformazioni” delle parole del Papa, entrate con prepotenza nel dibattito politico.
Questo porta ad una considerazione più generale. Si insiste nel dire che la religione deve essere riconosciuta anche nella sfera pubblica. Ma che cosa significa questa affermazione? Che nello spazio pubblico la religione ha uno statuto privilegiato o che, entrando in quello spazio, ogni religione partecipa al discorso pubblico con le proprie importanti caratteristiche, ma in condizioni di parità? Nel 1989 la Corte costituzionale ha scritto che «il principio supremo della laicità dello Stato è uno dei principi della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica», sancendo così l´eguaglianza che accomuna tutte le religioni e, insieme, la loro sottoposizione a quel principio fondativo della convivenza democratica. Nella sfera pubblica tutti i soggetti devono accettare la logica del dialogo, della critica ed anche della contestazione.
Altrimenti l´insidia del temporalismo si fa concreta. Non a caso da studiosi autorevoli e da politici cattolici consapevoli dei rischi di questa deriva sono venute analisi rigorose del rischio di un ritorno del “Papa re” e di un vero uso strumentale della religione, simboleggiato da quella sorta di “chiamata alle armi” dei cattolici a manifestare in piazza San Pietro in una occasione squisitamente liturgica. La correttezza del discorso pubblico esige una presenza costante del canone della democrazia.
Ha fatto bene Alberto Asor Rosa a ricordare la feconda stagione di dialogo tra credenti e non credenti nella Cappella universitaria della Sapienza, dove ebbi la fortuna di discutere con un grande biblista, Luis Alonso Schoekel. Aggiungo il mio personale ricordo dell´invito che rivolsi a monsignor Clemente Riva perché venisse a parlare nel mio corso, e del suo emozionante dialogo con gli studenti. Altri tempi, altre persone, altra politica? Una stagione irripetibile? Spero e voglio credere di no, perché continuo ad avere molte occasioni di dialogo con un mondo cattolico che tuttavia fatica ad essere presente nella sfera pubblica. Altrimenti dovremmo tornare alle amare parole di Arturo Carlo Jemolo, che nel 1963 così scriveva: «Questa Italia non è quella che avevo sperato; questa società non è quella che vaticinavo… l´affermarsi e il dissolversi delle tavole del liberalismo; l´inattesa realizzazione di uno Stato guelfo a cento anni dal crollo delle speranze neoguelfe».