lunedì 27 febbraio 2017

Altri vincoli su università e ricerca: gli effetti nefasti del Decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50.

Tempi sempre più duri per Università e ricerca in Italia. Non sono bastati i tagli al fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle Università e l’azzeramento del turn-over che ha cancellato la progressione delle carriere e causato una drastica diminuizione del personale docente negli atenei. Non è bastata la pesante riduzione dei fondi pubblici per la ricerca e nemmeno l’introduzione del famigerato Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA) che, come sottolineato dal CUN, “si risolve in un infruttuoso esercizio burocratico che sottrae solo tempo a ricercatori e personale amministrativo”, https://www.cun.it/uploads/5030/semplifica_università_attoprimo.pdf?v=
Sull’Università e sulla ricerca stanno piombando gli effetti nefasti del Decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50. C’era bisogno di semplificazione, invece, il suddetto decreto complica ulteriormente la vita del personale docente e amministrativo, aumentando la “quota” di burocrazia legata all’esecuzione degli ordini per attrezzature e materiale di consumo da destinare alla ricerca scientifica, allungando i tempi di consegna della merce, già ampiamente dilatati per colpa del MEPA.
Per ordinare plasticheria e vetreria, ovvero materiale di consumo indispensabile e di uso giornaliero per l’attività scientifica di molti laboratori, ogni gruppo di ricerca dovrà stimare i consumi annui e una volta ottenuta la stima complessiva, il Dipartimento diafferenza dovrà fare una gara di appalto: la ditta che se l'aggiudicherà rifornirà il Dipartimento per un anno. Inoltre, sarà vietato fare due ordini consecutivi alla stessa ditta. Si tratta solo di alcune conseguenze del decreto, ma non si può escludere che ne esistano altre, altrettanto nocive....
Ciò che potrebbe anche apparire normale per un ufficio che utilizza materiale di cancelleria, matite, penne, carta ecc, diventa demenziale se applicato a un ambito completamente diverso, come quello della ricerca scientifica, che non può essere soffocato dalla burocrazia statale.
I nostri burocrati ignorano che per fare una buona ricerca, la qualità delle attrezzature e del materiale di consumo e i tempi di consegna della merce sono fattori cruciali e determinanti. Un laboratorio per i propri fini lavorativi può preferire un determinato prodotto e avere una ditta specifica di riferimento. Ci deve essere una sana competizione tra le ditte per l'efficienza e l'affidabilità. Se una ditta risulta poco affidabile, devo essere libero di rivolgermi a un'altra. Ora, grazie al decreto 18 aprile 2016, n.50 e all’ignoranza di chi l'ha proposto e approvato, saremo costretti a prendere quello che viene, a meno di non ricorrere ai soliti escamotage per bypassare la norma.
La ricerca scientifica è un'attività fondamentale per la crescita di un paese e non merita di essere penalizzata e mortificata da norme restrittive e da vincoli assurdi. In questo modo non si fa altro che complicare e svilire ulteriormente il lavoro e la professionalità di docenti e ricercatori che lavorano nelle università pubbliche italiane, già pesantemente afflitti dai tagli.
Con i tagli ai finanziamenti, con l’affollamento di una burocrazia demenziale, con l’introduzione di procedure didattiche e amministrative a dir poco controproducenti, in questo paese si fa di tutto per rendere sempre più difficili le condizioni di lavoro di docenti e ricercatori, si fa di tutto per distoglierli dall'attività di ricerca! E in questa situazione arriva l’ANVUR, con la sua bibliometria "un tanto al chilo" a fare le pulci a tutti, con ASN e VQR, stilando classifiche di presunta “qualità” di ricercatori e atenei. Tutto ciò sarebbe grottesco, se non fosse drammatico.
In precedenza il CUN ha sollevato forti critiche agli eccessi di normative e ai vincoli burocratici imposti all’Università, ora è necessaria un'azione concertata a livello nazionale per fare pressione in ambito parlamentare allo scopo di liberare l’Università e la ricerca da demenziali limitazioni che rischiano di farci arretrare di molto nel panorama internazionale.

mercoledì 21 settembre 2016

Presa diretta: la ricerca tradita e sua Eccellenza!

La puntata di Presa Diretta del 19 settembre scorso si è focalizzata sul definanziamento della ricerca scientifica in Italia e sulla malasanità, purtroppo mescolando i due aspetti che non sono necessariamente correlati.
A parte questo, anche Iacona è caduto nell'errore che fanno in molti, ovvero concentrarsi esclusivamente sulle cosiddette "Eccellenze" con la e maiuscola, dimenticando che la ricerca è fatta anche dai buoni e dagli ottimi e non solo dagli eccellenti. Ma oggi conta solo l'Eccellenza. Eccellenza è una parola d'ordine molto in voga, l'Eccellenza è un passe-partout che apre molte porte e garantisce un'aura di rispettabilità e invincibilità di cui molti amano fregiarsi. In questi casi mi viene in mente un famoso film di Totò "Sua Eccellenza si fermò a mangiare".
Per visualizzare una scena emblematica del film con riferimenti espliciti all'Eccellenza, andate al seguente link: https://www.dropbox.com/home/Public?preview=eccellenza.mov

martedì 20 settembre 2016

La valutazione dell'ANVUR: mediane o valori soglia, cambia poco.

Ecco la nuova abilitazione scientifica nazionale (ASN): basta con le mediane, adesso arrivano i valori sogli! Si tratta di modifiche sostanziali e determinanti, oppure è il gioco delle tre carte che inganna solo i gonzi, ennesimo esempio di nominalismo italiano partorito dall'ANVUR con la complicità del MIUR? Il risultato parla chiaro: le definizioni sono diverse, ma il risultato è lo stesso, la quantità rimane il fattore discriminante anche nella sedicente nuova ASN.
A parte le ben note e reiterate critiche dei suddetti indicatori quantitativi che, soprattutto nel campo biomedico, per loro natura e utilizzo non sono assolutamente in grado di valutare l'autonomia e la qualità della ricerca dei candidati, esiste un altro problema poco discusso: l'entità della produzione scientifica di un ricercatore nel tempo.
E' noto agli addetti ai lavori, ma purtroppo non ai sette saggi dell'ANVUR, che la produttività scientifica di un ricercatore, misurata in termini di numero di pubblicazioni e di citazioni, può variare fisiologicamente nel corso del tempo. Essa, infatti, non è necessariamente costante e non è programmabile a tavolino, ma soggetta a fluttuazioni dovute a vari e delicati fattori: reperibilità di fondi, disponibilità di risorse umane, problemi tecnici e logistici imprevisti insiti nel lavoro. Fattori che in Italia, da tempo immemore, sono divenuti sempre più critici che altrove. E i motivi sono motivi vari e ben noti: scarsità di fondi destinati alla ricerca pubblica, fuga dei giovani ricercatori all'estero, condizioni ambientali spesso avverse. Di conseguenza, ad esempio, un candidato potrebbe possedere i requisiti per essere abilitato a dicembre 2016 (scadenza della prima tornata del nuovo corso), ma non a gennaio 2017 (seconda tornata), o viceversa.
In base all'utilizzo indiscriminato dei presunti parametri “oggettivi e certificabili” dell’ANVUR, dovremmo concludere che il livello professionale, la qualità e la maturità scientifica di un ricercatore sono soggette a drastiche fluttuazioni stagionali, tanto da renderlo idoneo o meno all'abilitazione da un mese all'altro. Parafrasando Alessandro Manzoni si potrebbe dire: un giorno nella polvere, un altro sull'altar! Un concetto culturalmente ridicolo e inaccettabile, per non dire peggio.
E' mai possibile che la valutazione della ricerca sia condizionata da "regole" estranee al buon senso e alla conoscenza specifica e pratica del settore? Regole così incredibilmente avulse dalle reali condizioni e dalle dinamiche della ricerca scientifica nel nostro paese?
Sarebbe ora che i saggi dell'ANVUR riflettessero su questi aspetti e ascoltassero le critiche di quella parte della comunità scientifica che non è contraria alla valutazione, ma che vorrebbe essere valutata dai suoi pari con criteri internazionalmente riconosciuti e non dalla fallace numerologia anvuriana che è estranea alla realtà della ricerca scientifica.

martedì 16 agosto 2016

A proposito del sistema "oggettivo" di valutazione dell’ANVUR

Nell'articolo "Le soglie esagerate dell'ANVUR" pubblicato il 7 agosto scorso su Il sole 24 ore, Fiorenzo Conti e Marco Linari muovono critiche pienamente condivisibili al metodo valutativo dei ricercatori ideato dall'ANVUR. Vorrei solo aggiungere qualche altra considerazione per approfondire le varie storture del suddetto metodo.
In primo luogo, è bene citare alcuni passi del documento di esordio su criteri e parametri per la valutazione dei candidati e dei commissari delle ASN, diffuso dall'ANVUR il 22 giugno del 2011.
1) L'ANVUR ha tra i suoi compiti quello di definire criteri e metodologie per la valutazione, in base a parametri oggettivi e certificabili; 2) La scelta dei criteri fondamentali deve soddisfare al principio del miglioramento progressivo della qualità scientifica dei docenti abilitati, misurata mediante indicatori di produttività scientifica diversi per i diversi settori; 3) La combinazione dei tre parametri assicura che i candidati al concorso per l’abilitazione siano allo stesso tempo tra gli studiosi più attivi in termini di produzione scientifica, tra coloro che hanno prodotto un impatto significativo nel loro settore, e, infine, che abbiano una ragionevole continuità nella produzione scientifica recente; 4) I criteri enunciati intendono realizzare, con modalità endogene al sistema nazionale di ricerca, una spinta verso l’alto della qualità scientifica.
Non c'è che dire, importanti obiettivi, che purtroppo la realtà dei fatti ha smentito, perchè la presunta obiettività della valutazione anvuriana si è rivelata in molti casi una vera bufala e non solo per le ASN, ma anche per la valutazione della qualità della ricerca di Università ed Enti di Ricerca (VQR).
Ma entriamo nel merito del metodo ANVUR. Nelle prime tornate dell'abilitazione nazionale (ASN), i parametri di sbarramento “oggettivi e certificabili” erano rappresentati dalle mediane di tre indicatori bibliometrici: 1) numero di articoli 2) numero di citazioni e 3) h-index. Un ricercatore ha un indice h, se h delle sue pubblicazioni hanno ottenuto almeno h citazioni ciascuna. Purtoppo, ai sette saggi dell’ANVUR e a Sergio Benedetto, principale artefice del sistema è sfuggito un piccolo dettaglio, ovvero che gli indicatori bibliometrici così concepiti, soprattutto nel settore biomedico, non sono in grado di misurare almeno due aspetti fondamentali per valutare qualità e autonomia della ricerca: 1) il contributo del singolo ricercatore agli articoli, nei settori biomedici espresso dall’ordine degli autori (i più rilevanti sono il primo e l'ultimo) e 2) il livello qualitativo delle riviste scientifiche dove sono pubblicati gli articoli in esame.
Nelle nuove ASN, i parametri selettivi restano quantitativi, con la differenza che le tre mediane sono sostituite da altrettanti "valori soglia" dei medesimi indicatori. I candidati che non raggiungeranno almeno due delle tre soglie quantitative non saranno ammessi all'abilitazione. Per quanto riguarda la Biologia, nella prima fascia della docenza, in molti settori i valori soglia tendono a essere mitigati rispetto alle mediane, mentre per la seconda fascia appaiono più impegnativi. Nel complesso, le perplessità rimangono: la qualità dei ricercatori e della ricerca non può essere valutata solo in base alla rigida bibliometria.
In primo luogo, il ruolo determinante dei parametri quantitativi può innescare e favorire i comportamenti opportunistici e anti-culturali messi in evidenza dai colleghi Conti e Linari. E questo non solo per quanto riguarda il "mercato" degli autori, ma anche per quello delle citazioni, che risultano decisive per l'ASN in quanto riferite a due valori soglia su tre. Un vero e proprio "doping" che senza dubbio altera l'esito della valutazione.
Comportamenti truffaldini a parte, la valutazione di un ricercatore non dovrebbe essere funzione delle citazioni ricevute dagli articoli pubblicati. E’ pericoloso usare le citazioni come una sorta di auditel, si tratta di un parametro delicato: possono essere anche negative e non sempre sono assegnate "democraticamente" (vedi articolo di Adam Eyre-Walker e Nina Stoletzki, Plos Biology 2013).
Inoltre, i parametri citazionali aumentano in funzione della numerosità dei ricercatori che lavorano nel settore, a prescindere dal valore scientifico della pubblicazione. Infatti, gli articoli scientifici che hanno come oggetto ricerche in campo umano sono circa 200-1000 volte più numerosi di quelli condotti in organismi modello come il moscerino della frutta Drosophila melanogster, il lievito o il nematode Caenorhabditis elegans
Tuttavia, negli ultimi 20 anni ben sei premi Nobel per la Fisiologia o Medicina (metà dei quali vanno alla ricerca biomedica di base e metà alla clinica) sono stati assegnati a ricercatori che hanno utilizzato questi tre sistemo modello.
Da quanto esposto, è evidente che i pretesi parametri “oggettivi” dell’ANVUR tendono a favorire gruppi grandi che lavorano in aree di ricerca più diffuse e pubblicano numerosi articoli con folte schiere di autori. Ne consegue che tali articoli ottengono molte più citazioni rispetto a quelli di chi svolge ricerca di base di qualità in settori di nicchia.
Come se non bastasse, un sistema così malamente congegnato spinge a pubblicare molto e molto in fretta, favorendo settori d'indagine di moda che fruttano più citazioni di altri, spesso a discapito di qualità, autonomia, approfondimento, curiosità e originalità. Un bel messaggio "culturale", soprattutto per le giovani leve.
Esiste un altro problema poco discusso: l'entità della produzione scientifica di un ricercatore, sia in termini di pubblicazioni che di citazioni, può variare fisiologicamente nel tempo e non è programmabile a tavolino, ma soggetta a vari fattori critici: reperibilità di fondi, disponibilità di risorse umane, problemi tecnici e logistici imprevisti insiti nel lavoro. Fattori che in Italia sono molto più critici che altrove, per ovvi motivi: scarsità di fondi per la ricerca pubblica, fuga dei ricercatori all'estero, condizioni ambientali spesso avverse. Un candidato, quindi, potrebbe possedere i requisiti per l'ASN a dicembre 2016, ma non a gennaio 2017, o viceversa. Quindi, in base ai parametri “oggettivi e certificabili” dell’ANVUR, il livello scientifico e la qualità di un ricercatore possono variare drasticamente da un mese all'altro: un concetto assurdo e ridicolo, per non dire peggio.
La scarsa affidabilità del metodo anvuriano è evidente anche all’estero e a riprova di ciò riporto i commenti di due autorevoli biologi, membri della prestigiosa Accademia Nazionale delle Scienze USA (NAS). Loro non potranno, certo, essere accusati di criticare il metodo ANVUR per motivi opportunistici.
1) Daniel L. Hartl, Professor in the Department of Immunology and Infectious Diseases, Harvard University: Anyone who claims to have developed a methodology for evaluation of research based on a journal's impact factor or a researcher's number of citations, supposedly "objective" and "certifiable" criteria has an invalid concept of how science really works and what impact one's research actually has on the field.
2) Mary-Lou Pardue, Professor Emeritus, Massachusetts Institute of Technology: It seems to me that this system is so artificial that it should appeal only to those who do not know enough about the science to make judgements based on real value.
Constatate le aberrazioni prodotte dal metodo ANVUR e vista la cronica assenza di programmazione e risorse che grava sulla ricerca in Italia, prima di dare inizio ai cerimoniali della valutazione non sarebbe stato più saggio e proficuo pianificare un programma a lungo termine con lo stanziamento di finanziamenti adeguati (non le solite elemosine)? Almeno così l'ANVUR avrebbe evitato di farci fare le classiche "nozze con i fichi secchi"!
Che fare adesso? A mio parere, ridurre i valori soglia è un palliativo. Per aggiustare un po’ le cose, a breve termine si dovrebbero introdurre i seguenti cambiamenti:
1) Considerare il ruolo del candidato nella pubblicazione, 2) Normalizzare per il numero di autori delle pubblicazioni; 3) Considerare il livello qualitativo delle riviste scientifiche; 4) Utilizzare un solo indicatore citazionale; 5) Eliminare le autocitazioni.
Nel prossimo futuro, però, è auspicabile abbandonare la bibliometria tout court e con essa il sistema delle abilitazioni, per definire un metodo di valutazione e reclutamento basato su qualità, etica e responsabilità, dove l'elemento umano sia primario.
Patrizio Dimitri Professore di Genetica
Sapienza Università di Roma

martedì 12 luglio 2016

Laboratorio di Genetica della Sapienza chiuso per caldo

Da 14 anni dirigo il laboratorio di Genetica della Drosophila che afferisce al Dipartimento di Biologia e Biotecnologie "Charles Darwin" (sezione di S. Lorenzo), uno dei più grandi e produttivi dipartimenti dell'Università Sapienza e del nostro paese. Insieme ai miei collaboratori studiamo la cromatina, una "sostanza" biologica composta da DNA e proteine presente nel nucleo cellulare, la cui struttura dinamica è correlata ai processi di attivazione e repressione dell'attività dei geni. Le alterazioni della cromatina possono avere delle ripercussioni anche gravi sul differenziamento cellulare e nella specie umana causano diverse sindromi di alterato sviluppo e fenomeni di cancerogenesi. Recentemente, un nostro articolo che discute le basi molecolari della rara sindrome Floating Harbor è stato pubblicato sulla rivista Journal of Medical Genetics.
Le nostre ricerche sono state finanziate dall'Istituto Pasteur Italia - Fondazione Cenci Bolognetti, dal MIUR, dalla Fondazione Roma e dal NIH (National Institutes of Health, USA) e i risultati sono stati pubblicati su riviste internazionali di ottimo livello, guadagnando di recente la vetrina del sito Sapienza e suscitando l'interesse di vari media tra cui Panorama e Le Scienze.
http://www.uniroma1.it/notizie/sindromi-genetiche-sulle-malformazioni-cranio-facciali
www.panorama.it/scienza/salute/ricerca-studio-sapienza-fa-luce-sul-lato-oscuro-dna-grazie-a-moscerino/
http://www.lescienze.it/lanci/2014/06/25/news/la_sapienza_universit_di_roma_yeti_una_piccola_proteina_dalle_grandi_responsabilit-2194194/
Ebbene, a causa della rottura di un fancoil, in questi giorni nel nostro laboratorio è impossibile lavorare perché la temperatura ha superato i 30 gradi (vedi foto).
E se volessimo installare un vero condizionatore dovremmo pagarlo con i soldi dedicati alla ricerca, perché non è previsto che queste spese siano a carico del Dipartimento.
Come è possibile immaginare,le condizioni ambientali estreme rendono il laboratorio inagibile, mettono a rischio costose apparecchiature, alterano reagenti chimici e danneggiano delicati materiali biologici. Inoltre, la situazione è ovviamente incompatibile con le attività di lavoro e di studio che io e i miei collaboratori svolgiamo quotidianamente.
Circa 20 giorni fa è stata richiesta la sostituzione dell'apparecchiatura all'ufficio tecnico della Sapienza con invio di preventivo da parte di una ditta specializzata. In seguito ho scritto personalmente al capo della Termogestione, Ingegner Smith, sollecitando la sostituzione dell'apparecchiatura, ma a parte una lapidaria risposta, nulla è accaduto e siamo stati costretti a chiudere il laboratorio: non avevamo alternativa, abbiamo dovuto farlo con grande senso di frustrazione.
Ho deciso di denunciare pubblicamente questa grave situazione anche per dare un segnale positivo ai giovani del laboratorio, per non accettare in silenzio quello che ritengo un vero insulto, per evitare che tutto ciò accada nella totale indifferenza e anche per dare ai non addetti ai lavori un'idea delle condizioni in cui molti docenti e ricercatori sono costretti a vivere e a lavorare quotidianamente, a causa di incomprensibili e croniche lentezze burocratiche. E pensare che basterebbe anche solo un minimo livello di efficienza.
E poi ci chiedono di svolgere i nostri compiti diligentemente, ci impongono carichi didattici sempre più onerosi, ci costringono a compilare una serie innumerevole di inutili formulari, ci soffocano con la burocrazia, ci distolgono dalla ricerca, ci tagliano gli scatti stipendiali e infine ci sottopongono alla valutazione della ricerca (VQR) secondo i parametri quantitativi dell'ANVUR che non misurano necessariamente la qualità... e poi.. e poi basta...non ci resta che fuggire all'estero!
Patrizio Dimitri, Professore di Genetica
Dipartimento di Biologia e Biotecnologie "Charles Darwin"
Sapienza Università di Roma
http://bbcd.bio.uniroma1.it/bbcd/cv/dimitri-patrizio
https://scholar.google.com/citations?user=4aYXJW4AAAAJ&hl=it

venerdì 6 maggio 2016

Più soldi alla ricerca: le bufale di Renzi

Secondo Giorgio Parisi, i nuovi finanziamenti alla ricerca previsti dal PNR, e tanto sbandierati da Renzi i questi giorni, sono una vera bufala!
https://www.change.org/p/salviamo-la-ricerca-italiana/u/16461185?tk=G6A-f3tRZqp-IFxU-DfaO3hZy8YGcZXSJ_N5EM18Yu4&utm_source=petition_update&utm_medium=email

giovedì 18 febbraio 2016

Salviamo la Ricerca Italiana, la petizione lanciata da Giorgio Parisi

Firmate la petizione lanciata da Giorgio Parisi!
Sono state superate le 36000 firme, un risultato eccezionale e non è ancora finita! https://www.change.org/p/salviamo-la-ricerca-italiana